La scorsa settimana sono avvenuti due fatti rilevanti sul fronte del lavoro. Il primo: lunedì 21, con la sentenza 118/2025, la Consulta ha stabilito che il tetto di 6 mensilità per le indennità dovute nei licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese è incostituzionale, invitando Parlamento e governo a intervenire. Il secondo: venerdì 25, nel quartiere Vomero a Napoli, tre operai edili sono morti cadendo da venti metri di altezza dopo il ribaltamento di un montacarichi. Due di loro, si è scoperto in seguito, lavoravano in nero; nessuno indossava il casco di protezione né era agganciato a un’imbracatura. Non solo. Il montacarichi, difatti, era stato preso in subappalto da un’altra azienda.
Proprio sulla cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese e sull’estensione della responsabilità all’impresa appaltante in caso di infortunio erano incentrati due dei cinque referendum abrogativi svoltisi l’8 e 9 giugno scorsi. Entrambi i quesiti hanno visto prevalere abbondantemente i sì, ma il mancato raggiungimento del quorum, come noto, ha invalidato il tutto. Chi li ha promossi e sponsorizzati ha ora gioco facile nel rivendicarne la bontà, ma non è questo il punto. Il nocciolo della questione siamo noi italiani. Assuefatti da reality show, social network e fake news abbiamo perso la bussola. Neanche quando si tratta di decidere dei diritti che riguardano noi e i nostri cari veniamo pervasi dal desiderio di protagonismo, salvo poi indignarci a tragedie avvenute. È ora di smetterla di fare gli ignavi, in particolar modo quando si parla di lavoro. In “Operaicidio”, libro recentemente dato alle stampe per Marlin editore, l’ex direttore generale dell’Inl Bruno Giordano e il giornalista di “Repubblica” Marco Patucchi hanno raccontato con dovizia di dati e storie un fenomeno che in Italia, fra il 1983 e il 2018, ha ucciso quasi nove volte in più della criminalità organizzata.
“Una tragedia spesso definita erroneamente come fatalità o fenomeno, mentre è assenza di coscienza e di senso di colpa” hanno sentenziato Giordano e Patucchi sottolineando l’“evidente inconcludenza di percorsi giudiziari che si prolungano troppo e si spengono quasi sempre in assoluzioni o prescrizioni”. Non è un caso, quindi, se nel 2022 il titolare della ditta per cui lavoravano i 3 operai di Napoli era stato condannato a sei mesi in primo grado, poi prescritti in appello, per l’infortunio di un altro suo dipendente. Ciò dovrebbe suggerire al governo di smetterla con l’idea di “non disturbare chi vuole fare”. Disturbare serve a salvare vite, se ne prenda atto.