Carissimo nemico

Di Giusi Fasano per Il Corriere della Sera

«I 400 milioni per il Mose furono un favore che Tremonti fece alla Lega. Non è vero che io ho preso una tangente per fare pressione sul ministero e sbloccare la situazione. Fu Tremonti che sbloccò quei soldi quando Zaia fu eletto governatore, perché doveva restituire ai leghisti il favore di averlo sostenuto politicamente. A Galan non avrebbe mai dato un centesimo neanche morto perché lo detestava. Così ha tergiversato fino alla nomina di Zaia e dopo ha dato il via libera. Era semplicemente un accordo politico fra lui e la Lega».

È così che Marco Milanese, ex deputato pdl ed ex consigliere politico di Giulio Tremonti (non indagato) all’epoca in cui era ministro dell’Economia, spiega lo stanziamento del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) che nel 2010 finanziò – con 400 milioni, appunto – la grande opera di ingegneria idraulica per salvare Venezia dall’acqua alta.

Il braccio destro dell’allora ministro ha raccontato la sua versione al giudice che ieri l’ha interrogato in carcere, a Santa Maria Capua Vetere, dov’è detenuto dal 4 luglio con l’accusa di corruzione: una mazzetta da 500 mila euro, dice l’ordinanza di custodia, avuta (attraverso Roberto Meneguzzo, patron della Palladio Finanziaria) da Giovanni Mazzacurati, ex presidente del potente Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato per gestire i soldi e i lavori del Mose. Con quella tangente, secondo la ricostruzione della procura veneziana, Mazzacurati voleva assicurarsi di poter accedere ai finanziamenti del Cipe.

Il giudice delle indagini preliminari di Venezia Alberto Scaramuzza ha seguito l’impostazione dei pubblici ministeri Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto, concedendo l’arresto di Milanese «per motivi di urgenza» anche se la procura lagunare non è competente del caso, poiché la presunta tangente sarebbe stata pagata a Milano, dove gli atti dell’inchiesta sono già stati trasferiti. Il gip ha quindi disposto il carcere dichiarandosi incompetente e su questo punto Milanese ha preteso che fosse messa a verbale tutta la sua contrarietà. «Non c’era nessuna ragione di urgenza», si è lamentato.

Ma è della corruzione che si è parlato per gran parte dell’interrogatorio. «Ma davvero pensano che io avessi il potere di spostare 400 milioni di euro?» ha chiesto al suo avvocato Bruno Larosa e ha fatto mettere a verbale. «Quello era un finanziamento per il quale si erano allungati molto i tempi», ha spiegato ancora Milanese raccontando come si giocò la partita fra il ministero delle Infrastrutture di Altero Matteoli e quello dell’Economia di Tremonti. Le infrastrutture, a cui toccava il finanziamento, avevano un miliardo da distribuire per le opere pubbliche in tutt’Italia e darne 400 al Mose sarebbe stato troppo.

Così chiesero all’Economia che i 400 per le barriere anti-acqua di Venezia fossero un’aggiunta al miliardo. Da qui il ruolo di Tremonti nella vicenda, come se fosse stato facile per l’ex ministro reperire altri fondi e distribuirli a suo piacimento . Secondo Milanese lo era: «Tremonti resisteva. Diceva “non voglio aiutare Galan per nessuna ragione al mondo”, ma aveva a che fare con Mazzacurati, conosciuto tramite Meneguzzo, che lo chiamava a ripetizione per avere certezze sul finanziamento. Insisteva così tanto che a un certo punto Tremonti mi disse: per favore non ne posso più, occupatene tu. Per questo ho mandato a Meneguzzo l’sms che diceva che tutto era risolto».

Con quell’sms, contestano i pm, Milanese violò il segreto dando a Meneguzzo l’informazione in anticipo rispetto all’ok del Cipe. Lui la spiega in un altro modo: «Quando si arriva alla convocazione del Cipe vuol dire che è già tutto deciso e che la decisione è già nota perché comunicata ai parlamentari».

Il giudice che lo interrogava (per rogatoria) gli ha chiesto perché mai Mazzacurati avrebbe dovuto inventarsi la tangente dei 500 mila euro. «Non credo che abbia risentimento nei miei confronti» ha spiegato Milanese. Ma cito solo quel che ho visto sui giornali in questi giorni: in una intercettazione Mazzacurati parlando con la moglie sull’ipotesi di una casa da comprare a Roma le ha detto: «So io come tirar fuori i soldi dal Consorzio…». Una menzogna del grande vecchio del Mose, stando all’interpretazione di Milanese: una bugia per giustificare, con i soci finiti nell’inchiesta assieme a lui, il «prelievo» di una somma così grossa che avrebbe poi tenuto per sé.

A fine interrogatorio la richiesta di scarcerazione, la stessa depositata ieri anche da Lia Sartori, ex eurodeputata di Forza Italia accusata di finanziamento illecito che si appella al contestato decreto del 28 giugno: quello che vieta il carcere e i domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere applicata la sospensione condizionale della pena.