Carminati, il mito intoccabile a capo di un sistema mafioso. Il Riesame dice no alla scarcerazione dell’ex Nar. Le accuse sui rapporti con la politica capitolina

Un’organizzazione che operava nella Capitale da anni nei settori criminale, economico e della pubblica amministrazione. Così il Riesame spiega l’evoluzione di Mafia Capitale nelle motivazioni al rigetto della revoca degli arresti di 5 indagati. “A Roma – si legge nelle 87 pagine – operava da anni una organizzazione strutturale di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti” di cui “Carminati è il capo e il punto di riferimento”.

COME COSA NOSTRA
Con queste parole il collegio presieduto da Bruno Azzolini ha motivato il rigetto delle richieste di revoca delle ordinanze fatte da Massimo Carminati, capo dell’organizzazione, Riccardo Brugia, braccio destro del “Guercio”, Emilio Gammuto, Fabrizio Franco Testa, Roberto Lacopo, tutti detenuti per associazione per delinquere di stampo mafioso. Si tratta del primo gruppo, dei 39 arrestati, ad essersi rivolti al tribunale del Riesame. Quest’ultimo spiega il perché debba essere condivisa l’aggravante mafiosa, considerata la natura della struttura guidata da Carminati: “Atti di violenza e di minaccia – si legge nel provvedimento – possono essere anche del tutto assenti nel caso in cui l’organizzazione criminale possa limitarsi a sfruttare la carica di pressione già conseguita dal sodalizio. È sufficiente quindi che l’associazione si avvalga della forza di intimidazione e goda cioè di quella che è stata efficacemente definita ‘fama criminale’”. Insomma, il sistema anche per il Riesame era in tutto e per tutto “mafioso”.

SILENZIO E CONNIVENZA
Un sistema, peraltro, che secondo i magistrati avrebbe fatto “un salto di qualità” con il sindaco Gianni Alemanno. Ma, in realtà, era tutto l’arco politico spesso ad essere connivente. “È significativo evidenziare – scrivono infatti i magistrati – come, a fronte di una posizione sostanzialmente monopolistica dell’acquisizione degli appalti dei servizi del Comune di Roma da parte delle cooperative di Buzzi, nessuno (in sede politica o con denunce penali) abbia mai osato denunciare il sistema di chiaro stampo mafioso vigente”.

GLI ALTRI CLAN
I giudici, ancora, tornano anche sul rapporto con le altre organizzazioni e, in primis, con la ‘ndrangheta che riconosceva in Mafia Capitale una “organizzazione della medesima dignità”. Non solo. I giudici citano i “rapporti del gruppo di Carminati con il clan dei fratelli Senese, con Ernesto Diotallevi, noto esponente della Banda della Magliana e tramite del sodalizio con la mafia siciliana di Pippo Calò, con il clan Casamonica, con l’organizzazione facente capo ai fratelli Esposito e con quel particolare ed inquietate – scrivono i giudici – personaggio che è Giovanni Di Carlo”. E in questo quadro Carminati era il boss, “un mito” che si era conquistato la “nomea di intoccabile e di personaggio in grado di uscire indenne da ogni situazione”.