Case popolari, Cda decaduti. Ma la Regione paga 4 milioni

di Andrea Koveos

E ora che succede nelle Ater (Aziende territoriali per l’edilizia residenziale pubblica) del Lazio? La domanda è d’obbligo, perché il 10 maggio scorso sono decaduti, almeno sulla carta, tutti Consigli di amministrazione e, con loro, anche i direttori generali, che dai Cda sono stati nominati. Solo sulla carta, però, perché la legge regionale istitutiva delle Ater (la numero 30 del 2002) parla chiaro, ma fino a un certo punto: “Gli organi dell’Azienda durano in carica per la durata della legislatura. Proseguono le proprie funzioni fino alla data di costituzione dei nuovi organi dell’azienda, che sono costituiti entro 45 giorni dalla data dell’insediamento del Consiglio regionale”. In base a ciò che dice la norma, dunque, i Cda non sarebbero più in carica, ma la stessa norma non spiega cosa accade se i nuovi organi non sono stati nominati, come nel caso in questione. E, dunque, in Regione Lazio e nelle Ater, da giorni fioriscono interpretazioni e fantasie. Gli stessi dirigenti non sanno dare risposte: qualcuno sostiene che, in questi casi, bisogna rifarsi al Regolamento, che stabilisce che i giorni entro i quali vanno nominati i nuovi organi degli enti dipendenti sono 90 e non 45. “Il fatto è – rispondono dalle Ater – che noi non possiamo essere considerati enti dipendenti, ma strumentali”.

Il silenzio dell’Amministrazione
Nelle Ater, insomma, il caos regna sovrano. E il silenzio della Regione non fa che aumentarlo. Eppure, la situazione richiederebbe un intervento deciso, senza incertezze. Del resto, lo stesso Zingaretti, in campagna elettorale, lo aveva detto in modo chiaro: “E’ assurdo che nel Lazio vi siano ben sette Ater, con sette Consigli d’amministrazione, sette Collegi dei Revisori, sette direttori generali”. Una situazione imbarazzante, in un periodo in cui tutti si riempiono la bocca di spending review. Dati alla mano. Attualmente, infatti, il solo Cda dell’Ater di Roma, ad esempio, costa complessivamente oltre 300mila euro l’anno, mentre il direttore generale, col premio di produzione, supera abbondantemente i 220mila euro. Com’è facile comprendere, le Ater soltanto alla voce stipendi e rimborsi per i consiglieri di amministrazione, revisori dei conti e direttori generali, spendono alemeno 4 milioni di euro. E’ lecito chiedersi se Zingaretti metterà davvero in atto i buoni propositi enunciati durante la sfida elettorale con Storace, in base ai quali si sarebbe dovuti passare da sette a un solo Cda, un Dg e un collegio dei revisori magari creando un’Agenzia regionale, che prendesse in mano tutto il comparto e lasciando aperti i singoli uffici territoriali, per affrontare i problemi legati alla quotidianità (manutenzione degli immobili in primis). Le resistenze, ovviamente, sono forti, perché in questo modo verrebbero meno tante poltrone. Intanto continuano a spargersi voci contrastanti sul futuro. L’ultima, la più accreditata, trapela dall’assessorato competente e dice che le Aziende potrebbero passare da sette a tre: macro-area di Roma (che inglobi Comune di Roma, Provincia di Roma, Civitavecchia), macro-area Nord (con l’accorpamento di Rieti e Viterbo) e macro-area Sud (mettendo insieme Latina e Frosinone).

Una riforma impossibile
Per dar vita a una riforma, però, serve un legge. E per fare una legge regionale, purtroppo servono mesi, se non anni. La domanda, iniziale, perciò torna d’attualità: che succede ora nelle Ater? Subito dopo il ballottaggio per il Comune di Roma (questa la scadenza che si sono dati Zingaretti e l’assessore Refrigeri), arriveranno i Commissari, probabilmente tecnici (si parla di dirigenti regionali). Ma è chiaro che non può ripetersi ciò che è avvenuto in passato, quando i commissariamenti sono durati tempi lunghissimi. Appare evidente che Zingaretti e l’assessore alle Politiche abitative, Fabio Refrigeri, devono prendere in mano la situazione e dare risposte concrete: negli anni, si sono create vere e proprie “isole Ater”, dove i potentissimi direttori generali fanno il bello e il cattivo tempo. Tutto questo ha causato situazioni drammatiche. A Roma, ad esempio, i conti sono praticamente fuori controllo: l’Ater è sommersa dai debiti e ha un patrimonio immobiliare così vasto da non poterne garantire un’adeguata manutenzione. Non solo: questo patrimonio ha generato, negli anni passati, un debito Ici (l’attuale Imu) di circa 600 milioni di euro nei confronti del Comune. Bisognerà arrivare a un accordo con il Campidoglio, per estinguere il debito, che ogni anno fa maturare nuovi interessi. Il piano vendite, peraltro, procede a rilento, perché pochi vogliono comprare: il cittadino “sveglio” preferisce pagare un affitto irrisorio (i minimi sono a 7 euro al mese) e avere una manutenzione scarsa, ma comunque a carico dell’Ater, piuttosto che addossarsi un mutuo compresi i costi di manutenzione della casa. In definitiva, le Ater sono praticamente al collasso, ma nessuno sembra voler muovere un dito. E intanto i cittadini continuiamo a pagare fior di stipendi a quei dirigenti che hanno portato l’edilizia residenziale pubblica sull’orlo del baratro.

 

Un inamovibile all’Ater di Viterbo. In sella da 40 anni. Ugo Gigli, direttore generale dell’ente, resiste anche alla pensione

La situazione di Viterbo è davvero unica: il direttore generale è Ugo Gigli, fratello di Rodolfo “Nando” Gigli, ex presidente della Regione, ex sindaco di Viterbo, ex parlamentare di Forza Italia, infine ex consigliere regionale Udc. Un inamovibile ormai da quarant’anni di fila. L’Ater praticamente è casa sua. Perfino la sua potente auto è parcheggiata davanti alla porta d’ingresso dal lunedì alla domenica, dal mattino fino alla sera.
Ugo Gigli vive all’Ater e per l’Ater, contornato da un gruppo di quattro-cinque “fedelissime”, che lavorano con lui senza soluzione di continuità. Eppure l’Ater di Viterbo, da tempo, non costruisce niente di nuovo, si stanno unicamente completando un paio di vecchi interventi. Nuove idee? Zero. Nuove edificazioni? Neanche un progetto in cantiere.
Se si passa alla manutenzione le cose vanno anche peggio. In due anni, per “curare” gli immobili di proprietà dell’Ater di Viterbo, è stato però speso circa un milione di euro e la quasi totalità degli interventi è stata affidata a due ditte più “fortunate” di tutte le altre della provincia. L’eterno direttore, Ugo Gigli, non è proprio un ragazzino: ha 75 anni ed è pensionato (in passato è stato direttore anche alla locale filiale della Mercedes, di proprietà della compagna), ma, si sa, la vecchia generazione è attaccata al lavoro.
Forse è per questo che Gigli ricopre anche la carica, ad interim, di direttore tecnico, dopo la scomparsa, un paio di anni fa, di chi ricopriva quel ruolo. E forse è per questo che si è attribuito, oltre a un congruo premio produzione (circa 48mila euro nel 2012), proprio mentre scendevano i premi produzione di quasi tutti gli altri dipendenti, anche il premio previsto dalle legge Merloni (quella per i tecnici), altri 31mila euro (sempre 2012). Lo scorso anno ha guadagnato circa 270 mila euro. Compenso più alto di un direttore regionale o del capo di gabinetto del presidente della Regione.
Eppure Gigli, pur ricoprendo tutti questi incarichi di solito riservati a ingegneri e architetti, non è nemmeno laureato.
Ma questo non è un problema: il “fratellone”, l’ormai ottantenne “Nando”, anni fa fece cambiare la legge che prevedeva la laurea per essere nominati direttori generali di un’Ater, poi fece abolire la norma che prevedeva al massimo due mandati da direttore generale.
Certamente, per resistere tanto tempo occorre adattarsi a ogni situazione. Alla Regione Lazio  ha vinto di nuovo  il centrosinistra e allora Ugo ha rapidamente virato di bordo: in campagna elettorale ha “portato” Enrico Panunzi, poi eletto consigliere regionale nel Viterbese con il Partito democratico. E Panunzi, ora presidente della Commissione consiliare Casa, che in passato è stato presidente dell’Ater di Viterbo ed è grande amico di Ugo Gigli, lo difende a spada tratta con Zingaretti e Refrigeri.
I quali, invece di intervenire riflettendo almeno sull’eventualità di sostiuire un direttore che da quarant’anni fa il bello e il cattivo tempo nelle case popolari viterbesi, stanno a guardare. Chissà per quanto tempo ancora.