Caso Cucchi, le istituzioni vogliono vederci chiaro

di Antonio Acerbis

La sentenza della Corte d’Appello di Roma è chiara: tutti assolti per insufficienza di prove. Medici, infermieri e poliziotti. Che è come dire: sì, avete ragione, Stefano Cucchi è stato pestato e ammazzato in quei sei giorni di black out in cui la famiglia non ha potuto né vederlo né sentirlo. Però non possiamo condannare nessuno perché non ci sono prove schiaccianti. Semplicemente perché tra le decine di poliziotti, avvocati, medici e infermieri che hanno avuto a che fare con il povero Stefano dal 15 ottobre 2009 (giorno del suo arresto) al 22 ottobre (giorno della sua morte), nessuno ha intenzione di parlare. Un muro omertoso impressionante che assicura a tutti impunità.

GIUSTIZIA SOTT’ACCUSA
Un macigno. Uno schiaffo per l’intero Paese e per chiunque crede che una giustizia esista. O perlomeno debba esistere. Eppure è proprio così che stanno le cose. A prescindere da chi siano i colpevoli, dai loro nomi e dai loro volti, il fatto incontestabile è che lo Stato, colpevole, latita. Ed ecco allora il motivo, profondo, per cui la vicenda Cucchi ancora resta in piedi, con tutte le conseguenze del caso. E tutte le divisioni. Dopo le parole discutibili del segretario generale del sindacato di polizia Sap Gianni Tonelli secondo il quale “bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità” e dopo l’annuncio della querela del sindacato stesso a danno di Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, per istigazione all’odio, a prendere posizione e a chiedere chiarimenti sono stati prima il Procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, con cui Ilaria ha avuto un incontro, e poi il presidente del Senato PieTro Grasso il quale, oggi a Bari, ha lanciato un appello: “Ci sono dei rappresentanti delle Istituzioni che sono certamente coinvolti in questo caso. Quindi, chi sa parli. Che si abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, perché lo Stato non può sopportare una violenza impunita di questo tipo”. Insomma, anche le istituzioni pare vogliano vederci chiaro. Sperando che le loro non siano solo parole.

SCONTRO APERTO IN PROCURA
Intanto, però, in Procura è ormai guerra. Lo stesso incontro di Pignatone con Ilaria Cucchi è sembrata una palese sconfessione dell’operato dei due pm del processo, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy. Il Procuratore capo, d’altronde, aveva aperto alla possibilità di riaprire il processo. Ergo: voi pm non siete riusciti a trovare i colpevoli di un palese omicidio. Non a caso, secondo le indiscrezioni, i pm già due giorni fa si sarebbero rivolti direttamente a Pignatone per lamentarsi della sua uscita. Né è un caso che, dopo l’incontro, la linea tenuta dalla stessa Procura è più lieve: si “valuterà la sussistenza di motivi” per ricorrere in Cassazione, ma solo “dopo aver letto le motivazioni” della sentenza di assoluzione in appello degli imputati. Un modo per rivalutare il lavoro dei pm, insomma. Intanto, però, gli assassini rimangono senza volto. Si spera solo che la storia non si chiuda con l’impunità. Perché sarebbe impunità di Stato.