Il caso MavaChou. Quando i social presentano il conto. L’influencer francese aveva aperto la sua casa. Ma per colpa degli haters ha finito col suicidarsi

L'influencer francese MavaChou aveva aperto la sua casa. Ma per colpa degli haters ha finito col suicidarsi.

Mi sono imbattuta per caso nella storia di MavaChou: la youtuber francese (qui il suo canale) suicidatasi lo scorso 22 Dicembre. Non è un caso di cronaca come gli altri e offre molteplici spunti di riflessione sulle criticità che determinano la complessità del nostro tempo. Poco più che trentenne, bella di quella bellezza semplice che hanno le ragazze della porta accanto, era madre di ben quattro figli, il quinto perso a causa di un aborto spontaneo.

Lei e suo marito hanno narrato sin dalla nascita del loro amore ogni passaggio della vita privata di coppia e di famiglia, video e post su minori copiosamente inclusi nella narrazione web, mettendo su una macchina da business homemade che anziché essere guidata con prudenza ha finito per travolgerli. Tutti.

LA SEPARAZIONE. La coppia ha legittimamente deciso dopo anni di vita insieme di separarsi e altrettanto legittimamente ha deciso di farne annuncio urbi et orbi. Solo che, i leoncini da tastiera (conigli quando escono dal recinto virtuale) non hanno perdonato questo indigesto colpo di scena e si sono prontamente schierati contro MavaChou che ha semplicemente dichiarato di essere stata l’origine della separazione. Libera donna in libero Stato che vuole interrompere un matrimonio.

La reazione è stata un fiume di commenti carichi di odio che, annullando il confine tra pubblico e privato, sono entrati dentro casa sua (casa le cui porte lei aveva spalancato) sino a raggiungere l’acme dopo che il suo gentil marito – per mezzo dei social, si intende – comunicasse presunti maltrattamenti della donna a danno dei figli. Accuse respinte da lei e, presumibilmente, anche dalla giustizia dato che MavaChou – come sottolineava nelle trasmissioni di cui pure esame spesso ospite – poteva stare con i propri bambini come una qualsiasi madre. Una madre che però alla fine si è uccisa.

BERSAGLIO FACILE. Mossa dall’esasperazione, quella che ormai era diventata un facile bersaglio di ogni accusa, anche le più vergognose, ha reso i propri figli orfani non sopportando più il peso della propria vita. Ma MavaChou è stata vittima o artefice di un tale destino? Questa storia ci mette davanti a quello che, con un’espressione cara ai filosofi, può essere identificato come “il dominio della tecnica sull’uomo”.

Internet, strumento che riteniamo di padroneggiare, finisce tirannicamente per governarci con conseguenze nefaste. Dove comincia e dove finisce la responsabilità di un consapevole uso dei social network e quando invece si sconfina nella patologica dipendenza che tende ad annullare il sempre più debole confine tra reale e virtuale? Possibile che la genitorialità non costituisca un solido argine a questa deriva e che anche i figli diventino un prodotto da dare in pasto a questa macchina?

SCACCO MATTO. MavaChou, la cui morte tocca le profonde corde dell’emotività, procura anche una buona dose di rabbia. Come quando leggiamo – per esempio – di quei genitori che portano la droga in casa e che il loro bimbo piccolo finisce in ospedale perché l’ha accidentalmente ingurgitata.

Alla morte di MavaChou bisogna però restituire un senso collettivo, “usarla” sino in fondo affinché non vi siano più altri casi analoghi e affinché vi sia un’operazione di sensibilizzazione culturale destinata principalmente ai giovani e che promuova un consapevole uso di internet proprio per loro, i nativi digitali. Nativi digitali che immaginano che la vetta apicale del loro successo sia diventare influencer (che di questi tempi sembra la professione più gettonata al mondo) e raccogliere sempre più followers, perché più cresce chi li segue più cresce anche la probabilità di fare cassa.

In questa riflessione, sia chiaro, non c’è nessun giudizio moralistico e nessuna celebrazione di un tempo passato “incontaminato”, ma solo un alert a tutti coloro che credendosi giocatori nella scacchiera digitale ne diventano, senza accorgersene, pedine subendo alla fine un disastroso scacco matto.