Il Cda Rai si spacca sulle nomine. E pure le redazioni si ribellano. Maggioni al Tg1 e Orfeo a capo dell’Approfondimento. Il consigliere Di Majo vota No: criteri discutibili

Alla fine le nomine attese sono arrivate. Il consiglio di amministrazione della Rai ha dato il via libera alle proposte dell’Ad Fuortes per le testate giornalistiche.

Il Cda Rai si spacca sulle nomine. E pure le redazioni si ribellano. Maggioni al Tg1 e Orfeo a capo dell’Approfondimento. Il consigliere Di Majo vota No: criteri discutibili

Alla fine le nomine attese sono arrivate. Il consiglio di amministrazione della Rai ha dato il via libera alle proposte dell’amministratore delegato Carlo Fuortes per le testate giornalistiche. L’approvazione è avvenuta senza l’unanimità perché il consigliere indicato dal M5s Alessandro Di Majo ha votato contro su tutte le nomine, mentre il componente del cda eletto dai dipendenti Riccardo Laganà si è astenuto in alcune votazioni.

Ad ogni modo sono stati i confermati i nomi di Monica Maggioni alla direzione del Tg1, Gennaro Sangiuliano al Tg2, Simona Sala al Tg3, Andrea Vianello al Gr Radio e a Radio1, Paolo Petrecca a RaiNews24, Alessandra De Stefano a RaiSport, Mario Orfeo (nella foto) alla direzione approfondimenti, Alessandro Casarin alla Tgr e Antonio Preziosi a RaiParlamento (queste ultime due sono conferme). Laganà ha votato a favore di Maggioni, Sangiuliano, Vianello, Casarin, Preziosi, Orfeo e De Stefano, mentre si è astenuto su Sala e Petrecca. Il cda ha sottolineato in particolare che sono state valorizzate le “risorse interne all’azienda” e che “per la prima volta” la direzione del Tg1 “è affidata a una donna”. Troppo poco però per accontentare tutti.

LE REDAZIONI CONTRARIE. Le nomine, infatti, hanno suscitato anche ieri polemiche. Se due giorni fa il campo era tutto politico per via dell’esclusione del M5s – primo partito in Parlamento – da tutte le scelte con la reazione del leader del Movimento Giuseppe Conte, ieri a protestare sono stati due cdr (del Tg3 e di RaiNews24) e il sindacato Usigrai, il sindacato interno all’azienda di viale Mazzini, tutti d’accordo – sia pure con toni diversi – nel dire che a essere sbagliato è il metodo. Il comitato di redazione del Tg3 “assiste alle nuove nomine con senso critico nei confronti non dei nomi, ma del metodo utilizzato dall’azienda”.

In particolare in questo caso l’accento è sull’augurio dei rappresentanti della redazione “che possa portare avanti un progetto editoriale con la necessaria stabilità”. Una stabilità che al Tg3 manca da troppo tempo dato che dal 2016 il Tg3 ha cambiato cinque direttori e nessuno degli ultimi tre ha potuto concludere il proprio mandato. Poi c’è il cdr di RaiNews: “Ancora una volta le scelte rispondono a logiche spartitorie e il ruolo del governo è stato decisivo nel rispondere ai desiderata della politica. La scelta di cambiare la guida di Rainews24 va letta proprio in questa ottica: il direttore non era in scadenza e si è agevolata una sostituzione che appare motivata dalla sola esigenza di fare spazio ai desiderata di un partito”.

Il riferimento è al nuovo direttore Petrecca che sui social ha spesso espresso “apprezzamenti” in particolare per le posizioni di Giorgia Meloni. Il cdr del canale all-news aggiunge anche che, in questi giri di valzer dei direttori, è rimasta vuota una sedia perché “si interrompe il percorso avviato sul nuovo portale rai24.it affidato a Vianello e ora rimasto senza guida: 14 colleghi appena arrivati dopo job posting e senza nessuna garanzia di progetto. Un danno gravissimo e una battuta d’arresto inspiegabile”.

E infine l’Usigrai che attacca il vertice Rai sul fatto di “non avere un progetto industriale o di averlo smarrito”. Se da una parte è positivo che ci siano tre direttrici donne, dice il sindacato, dall’altra alla radio c’è il settimo direttore in sette anni. Un po’ come avvenuto anche al Tg3, dunque. Segno che ciò che manca a Viale Mazzini è una prospettiva a lungo termine.

STRACCI IN CDA. Le critiche, però, come detto hanno toccato proprio il cuore pulsante della Rai, ovvero il Consiglio di amministrazione. “Non discuto i nomi ma non sono stati applicati i criteri, i metodi e i percorsi di scelta e di valutazione delle figure apicali. Sul punto il CdA non è mai stato coinvolto e considerato”, ha detto non a caso il consigliere Di Majo giustificando il suo voto contrario. Secondo le voci che si rincorrono, dunque, ha pesato più il volere politico – e Palazzo Chigi – che una valutazione interna al Cda. Segno che, come sottolineato ieri anche dall’Usigrai, occorre una legge che separi nettamente informazione pubblica e politica.

Un disegno di legge che ha l’obiettivo di spezzare questo legame c’è già, presentato dal senatore M5S Primo Di Nicola. È provvedimento incardinato in commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni che fatica però ad andare avanti. Chissà che non sia arrivato finalmente il momento di spingere per una legge ad hoc.