C’è pure Marchini nel caos Popolare di Vicenza: un bagno di sangue da 32 milioni. Nel buco anche Parnasi, Toti, Maccaferri e Scarpellini

di Stefano Sansonetti

Un mal di pancia vicentino che Alfio Marchini sapeva di avere da un sacco di tempo. E del quale, almeno secondo quanto più volte spiegato dal candidato sindaco di Roma, ormai si è liberato. La novità è che in queste ore va delineandosi il valore economico di quel mal di pancia: 32,6 milioni di euro. A tanto ammontava la minusvalenza che l’imprenditore-immobiliarista aveva subìto portando la holding Lujan a investire nella Popolare di Vicenza, la disastrata banca in queste ore alle prese con un complicatissimo aumento di capitale. La Lujan, in base all’ultimo elenco soci della banca vicentina, ne avrebbe ancora oggi in pancia una quota dello 0,52%, corrispondente a 521.329 azioni. Considerando  che il valore di un’azione dell’istituto in poco più di un anno è sceso da 62,5 a 0,10 euro, ecco spiegato il bagno di sangue da 32,6 milioni.

IL NODO – Va però registrato che Marchini da tempo sostiene di essere uscito dal capitale della Lujan, nel quale era presente con il 90% delle azioni, nonostante sino a poche settimane fa il cambiamento non risultasse. All’epoca, sul punto, l’entourage del candidato sindaco di Roma ha riferito a La Notizia che il controllo della Lujan è stato ceduto a una serie di investitori, alcuni dei quali americani. In attesa di nuovi lumi, va aggiunto che la ex società di Marchini non è certo l’unica ad aver perso soldi con la Popolare di Vicenza. Semmai la domanda è in che modo diversi nomi noti sono arrivati a investire nell’istituto di credito. Non è infatti una novità che gli accertamenti della magistratura sulla banca riguardino la possibilità che diversi affidamenti a clienti più o meno Vip siano stati concessi a condizioni agevolate in cambio di investimenti in azioni o obbligazioni della banca. A ogni modo qualche mese fa un articolo di Repubblica, citando una segnalazione di Bankitalia, aveva raccontato che 60 milioni di euro, veicolati da un paio di fondi lussemburghesi, sarebbero arrivati a società vicine a Marchini proprio dalla Popolare di Vicenza. E questo nonostante la banca fosse già esposta per 75 milioni verso l’imprenditore.

LA REPLICA – Marchini ha sempre seccamente smentito questa ricostruzione. In un comunicato diffuso all’epoca il candidato sindaco di Roma aveva “premesso che, come già più volte ribadito direttamente e pubblicamente, sono indicate erroneamente società descritte come facenti parte del gruppo Marchini o riconducibili ad Alfio Marchini”. In più “per quanto riguarda il prestito dei 75 milioni, non solo alla data delle suddette operazioni (quelle sui famosi 60 milioni,ndr) la posizione non era di incaglio, ma la società aveva già pagato regolarmente circa 6 milioni di euro di interessi”. Piuttosto, concludeva la nota, “la società Lujan al pari di migliaia di azionisti è parte lesa nei confronti della banca per aver visto evaporare l’investimento fatto nel capitale della banca stessa. Danno ancor più grave perché arrecato utilizzando liquidità della società”.

GLI ALTRI –Di sicuro non c’è solo Marchini tra coloro che, in epoche passate o ancora oggi, si sono trovati risucchiati nel buco della Popolare di Vicenza. Nell’elenco degli azionisti di qualche peso, pubblicato nei giorni scorsi sul sito del Sole24Ore, ci sono i nomi anche di altri immobiliaristi. Per esempio Luca Parnasi, accreditato di una partecipazione dello 0,11% (pari a 112.611 euro), che un anno fa valeva 7 milioni di euro e ora poco più di 11 mila. Dello 0,07% è invece accreditata Seci-Società esercizi commerciali industriali del vicepresidente di Confindustria Gaetano Maccaferri. Anche in questo caso un bagno di sangue per una partecipazione che all’epoca valeva 4 milioni e adesso più o meno 6 mila euro. Vantano uno 0,03% a testa anche la Silvano Toti Holding e la Milano 90, rispettivamente società della famiglia Toti e di Sergio Scarpellini, altri due immobiliaristi le cui partecipazioni valevano 2 milioni di euro e adesso poco più di 3 mila. Anche qui vale lo stesso discorso. In che modo questi imprenditori sono arrivati a investire in Popolare di Vicenza? Sono stati finanziati dalla stessa banca? Va considerato che oggi l’istituto si trova in condizioni disastrose anche perché ha concesso finanziamenti garibaldini ad amici degli amici senza ottenere in cambio opportune garanzie. Si tratta proprio di uno dei versanti all’attenzione della magistratura. Da qui il disperato tentativo di favorire un aumento di capitale da 1,7 miliardi e la successiva quotazione in borsa. Esito non scontato. Con il fondo Atlante, quello partecipato dalle maggiori banche, che si è proposto di fare da “paracadute” per l’operazione. Ma i rischi sono enormi.

Twitter: @SSansonetti