Un disegno per spaccare il Paese e uno per votare

di Lapo Mazzei

Nei corridoi dei palazzi romani gira una leggenda metropolitana, che a vedere i fatti non sembra tanto leggenda, secondo la quale al ministero dell’Economia ogni qualvolta arriva un provvedimento finanziario varato da Palazzo Chigi, in particolare quelli voluti da Matteo Renzi, i tecnici si mettono a ridere. “Un’altra renzata”, sarebbe la battuta imperante. Vero o verosimile che sia, sta di fatto che l’Istat ha gelato il governo Renzi e tagliato le stime di crescita dell’economia italiana. I tecnici dell’Istituto di statistica stimano, infatti, un “effetto nullo della manovra nel biennio 2015-2016”.

PESANTI BOCCIATURE
L’impatto non proprio entusiasmante della legge di stabilità sull’economia reale è stato confermato anche da Bankitalia, durante l’audizione di ieri alla Camera. “Il governo ipotizza un modesto effetto espansivo”, ha detto il vice direttore della Banca d’Italia Luigi Signorini, in audizione sulla manovra. “Le stime del governo, per quanto implicite”, osserva, “sono relativamente modeste e più o meno gli effetti della manovra sono di quell’ordine di grandezza”. Insomma, sia Istat che Bankitalia nutrono più di un dubbio sulla capacità della manovra di stimolare l’economia. Tutti gufi? Anche pezzi dello Stato devono essere iscritti d’ufficio al partito dei disfattisti? Possibile. Oppure è possibile che si tratti del suo esatto contrario.

ELEZIONI IN VISTA
Ma un punto è del tutto evidente. La strategia adottata dal premier, a fronte delle bocciature inanellate ieri, resta quella di alzare l’asticella ogni giorno che passa, confidando nel crescendo rossiniano del canto e controcanto con i sindacati. Perché è del tutto evidente che il tema della riforma del lavoro è un pretesto, non avendo ben chiaro dov’è che Renzi intende portare il Paese, da usare nel momento in cui il governo non sarà più in grado di reggere lo stress. Per andare al voto occorre una buona ragione e Renzi se la sta costruendo. Mattone dopo mattone. E lo spartito sfoderato ieri a Brescia va esattamente in quella direzione. “Si è aperta un’opportunità, non coglierla sarebbe un errore gravissimo. Se facciamo ciò che siamo in grado, l’Italia dei prossimi anni sarà locomotiva in Europa”, ha detto il premier all’assemblea degli industriali, “sono qui non per lisciarvi il pelo e nemmeno per fare qualche passerella, ma voglio raccontarvi che oggi c’è una finestra di opportunità che non cogliere sarebbe gravissimo”. E poi l’affondo: “Il clima fuori è cambiato: tre mesi fa eravamo una banda di ragazzini, ora che stiamo facendo le riforme siamo diventati la quintessenza dei poteri forti, gli uomini soli al comando. Ma non c’è un uomo solo al comando, c’è un popolo che chiede di cambiare per sempre”. La deriva populista di Renzi, però deve fare i conti con le rivolte e le proteste degli operai e della Cgil di Susanna Camusso, poco inclini ad assecondare il suo disegno. “Dobbiamo evitare un rischio pazzesco”, dice Renzi, “c’è un disegno per dividere il mondo del lavoro. Ma non esiste una doppia Italia, dei lavoratori e dei padroni: c’è un’Italia unica e indivisibile e questa Italia non consentirà a nessuno di scendere nello scontro verbale”. E ancora: “Si affrontino le questioni del Jobs act. Se si vuole attaccare il governo ci sono altre strade, senza sfruttare il dolore dei disoccupati”. E già s’inizia con i complotti e si finisce con le urne. Come sempre.