Celle di tre metri, niente cure mediche. Ecco come torturiamo i detenuti

di Fabrizio Gentile

Responsabilità civile dei magistrati, lentezza dei processi, trattamento inumano all’interno degli istituti di pena. Vista dall’Europa la situazione delle carceri italiane, e più in generale della Giustizia, è drammatica. E la pioggia di “infrazioni” sta a testimoniarlo. In realtà lo sarebbe anche vista dall’Italia, se solo la miopia politica negli anni non avesse scientificamente evitato di inforcare gli occhiali che Pannella e i radicali hanno ripetutamente cercato di offrire al Parlamento, arrivando allo sciopero della sete e alla lotta refrerendaria pur di mettere in agenda il caso-Italia. Nemmeno il primo forte richiamo del presidente della Repubblica è servito a scuotere le coscienze dei parlamentari, se non per le solite generiche pelose (e momentanee) prese di posizione che si sono succedute ovviamente senza portare ad alcunché. Ora però la misura è colma, e una decisione non è più rimandabile. Indulto, amnistia, nuove carceri: oggi ci si concentra su contrapposizioni a volte ideologiche, più spesso di mero botteghino elettorale, e ancora  una volta non si fanno i conti con i numeri, che pure sono connaturati al concetto stesso di analisi.

I numeri dello scandalo
Il rapporto del Ministero della Giustizia aggiornato al 30 settembre scorso ci parla di una capienza regolamentare di 47.615 posti a fronte di una popolazione carceraria di 64.758 internati. E per chi si impressionasse al pensiero che siamo fuori di oltre 15.000 persone (devastante chiamarle “unità”), dobbiamo aggiungere che il dato “regolamentare” è suscettibile di cambiamenti, purtroppo verso il basso; e che comunque una cosa è la capienza in sé, altra è la vivibilità dello spazio definito come “capienza”. Celle buie e sfornite dei minimi servizi, spesso anche di riscaldamento, gli Istituti di Pena del nostro Paese sono attualmente luoghi di sospensione del diritto, che sopprimono ogni possibilità di porre in essere il recupero ed il  reinserimento nel tessuto sociale. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia perché nelle sue carceri si violano i diritti dei detenuti, tenuti in celle con a disposizione spesso meno di 3 metri quadri. I detenuti già affetti da malattie al momento della reclusione, non sono curati adeguatamente o, talvolta, non vengono sottoposti ad alcuna terapia.

Il sovraffollamento
Poi c’è il sovraffollamento: la presenza effettiva dei carcerati supera del 42% la capienza regolamentare, quindi ogni 100 posti disponibili sono sistemati 142 detenuti. L’Ordinamento Penitenziario che regolamenta le condizioni di vita delle carceri italiane afferma, tra gli altri principi, che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. Tuttavia, il sovraffollamento degli istituti di detenzione, il numero elevato dei suicidi e delle morti in carcere dimostrano lo stato di emergenza della situazione penitenziaria italiana. Nell’anno in corso sono già 39 i suicidi in carcere, 123 il numero totale delle morti.

In attesa di giudizio
Si dirà: sono criminali, se la sono cercata. Le cose non sono esattamente in questi termini. Una cosa è la condanna, altro è il trattamento inumano per chi è stato ristretto in carcere, che assume il contorno di una pena aggiuntiva quando non addirittura di una tortura (perché così viene vista in ambito europeo). E poi per condannare qualcuno a tutti noi sembra ovvio che ci sia un processo, delle prove. Poi però scopriamo che 12.333 persone sono dentro una cella in attesa di primo giudizio, cioè in attesa di sapere se siano o meno colpevoli di qualcosa. Un problema che diventa evidente nella sua gravità solo se per qualche motivo si viene coinvolti nell’ingranaggio tritacarne della Giustizia italia. Il punto dunque non è quello di fare una favore o meno a Berlusconi: il punto è di fare in modo che in galera ci vada chi se lo è meritato davvero, e che i 5 milioni di procedimenti arretrati possano essere eliminati per permettere alla macchina della giustizia di ripartire, su basi nuove e regole certe.