La Sveglia

Cemento, algoritmi e bugie. Il futuro rubato di Gaza

Nel silenzio globale che avvolge la devastazione della Striscia, c’è chi già immagina il dopoguerra come un’occasione per nuove rendite. Il Financial Times ha scoperchiato le slide di un progetto distopico: trasformare Gaza in una Dubai in miniatura, terminale del corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. È una colonizzazione tecno-finanziaria, senza popolo, senza memoria, senza lutto. Una ricostruzione pensata prima ancora che si fermino le bombe. Un progetto disegnato per chi sopravvive – ma solo se serve.

Il Tony Blair Institute si affretta a negare il proprio coinvolgimento, ma lo schema è sempre lo stesso: potenze occidentali, reti di interessi, istituti internazionali e governi che ammiccano mentre la realtà viene sepolta sotto i detriti. Oltre centomila morti stimati – impossibili da contare con precisione perché a Gaza nessuno può più entrare a verificare. Giornalisti e osservatori vengono respinti, i dati oscurati, le testimonianze screditate.

Nel frattempo, in Europa e nel Regno Unito chi manifesta contro il genocidio viene schedato, arrestato, accostato al terrorismo. Università e redazioni si adeguano al clima, e il dissenso evapora. Il potere non vuole più nemmeno essere contraddetto. Esiste solo la narrazione ufficiale, imposta a colpi di repressione soft e minacce implicite: chi parla rischia di perdere il lavoro, la cattedra, il microfono.

Non è solo complicità, è progettualità. La guerra, ormai, è il braccio armato dell’urbanistica globale. Prima si radono al suolo le città, poi si costruiscono quartieri modello con fibre ottiche e vigilanza integrata. Prima si annientano le identità, poi si ricoprono di smart glass. Gaza è diventata il laboratorio di un futuro senza diritti. E l’Occidente, che si diceva culla della democrazia, è ormai il promotore occulto di un neocolonialismo a circuito chiuso.