Centri per i rimpatri, vulnus sulla libertà personale

I giudici invitano il legislatore a intervenire sulla normativa vigente in materia dei Centri per i rimpatri

Centri per i rimpatri, vulnus sulla libertà personale

Sul trattenimento dei migranti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), la Corte Costituzionale richiama il legislatore: la norma attuale non rispetta la “riserva di legge in materia di libertà personale”. Lo dice chiaramente la sentenza n. 96 con cui la Consulta – presieduta da Giovanni Amoroso – ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sull’articolo 14 del decreto legislativo 286 del 1998, là dove si prevede il “trattenimento per il tempo strettamente necessario” nei Cpr più vicini, individuati dal ministero dell’Interno.

La Corte costituzionale rileva un vulnus nella disciplina attuale sui Cpr

Ma la Corte ha evidenziato un punto scoperto: le modalità con cui si restringe la libertà del migrante non sono disciplinate da una legge formale. A sollevare la questione era stato il giudice di pace di Roma, chiamato a convalidare un trattenimento. Aveva denunciato che l’intero procedimento si basa su regole di rango secondario, in contrasto con l’articolo 13 della Costituzione, che richiede una legge primaria per ogni restrizione alla libertà personale.

Inoltre, aveva segnalato la mancanza di garanzie giurisdizionali minime, con un trattamento peggiore rispetto a quello riservato ai detenuti nelle carceri. La Corte ha confermato: il trattenimento nei Cpr è un “assoggettamento fisico all’altrui potere” e incide direttamente sulla libertà personale.

La normativa oggi vigente – scrivono i giudici – non definisce in modo chiaro né i modi della restrizione, né i diritti dei trattenuti, che possono restare nei centri anche per lunghi periodi. Tutto viene rimesso a regolamenti e decisioni discrezionali. Un vuoto che solo il Parlamento può (e deve) colmare.