Centrodestra troppo diviso. Il leader possibile è Zaia. In molti lo vogliono per fermare la deriva lepenista

Umberto Bossi non ha mai avuto dubbi: “Luca Zaia è equilibrato, a volte è forse un po’ lento ma alla fine riesce a stare in equilibrio. Sarebbe un ottimo premier”. E anche la stampa tedesca, da sempre non troppo tenera col Belpaese, una volta lo definì “l’esponente del Governo italiano più gettonato dopo Silvio Berlusconi”, addirittura “il politico della Lega dal gran talento comunicativo”. Nella lista degli aspiranti in corsa per la leadership del Centrodestra, dal Cavaliere a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sono in tanti quelli che considerano il governatore del Veneto come l’outsider giusto per mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Un’ipotesi che il diretto interessato ha sempre detto di non voler prendere in considerazione perché “i veneti mi hanno eletto per governare la Regione”. Ma dalla quale, alla fine, difficilmente potrebbe tirarsi indietro, vista l’alta posta in gioco. Chi conosce Zaia lo definisce come un uomo che non ama i riflettori, né tantomeno le lotte intestine fra salviniani, bossiani, maroniani e via dicendo.

Il fortino – Un atteggiamento da leghista “moderato” che gli ha permesso di costruirsi, nel “suo” Veneto, un fortino di consensi e voti non indifferente. Nel 2010, anno della prima elezione alla guida della Regione, Zaia raccolse il 60% delle preferenze, risultando il più votato fra i candidati presidente. Il tutto prima di bissare il successo nel 2015 contro l’esponente del Pd Alessandra Moretti, sponsorizzata da Matteo Renzi, e diventare (secondo il sondaggio di Ipr Marketing per Il Sole 24Ore) il governatore più amato d’Italia. Non è un caso che anche Berlusconi ne abbia più volte caldeggiato la candidatura. Era il 27 maggio 2015 quando l’ex premier, intervistato dal Corriere della Sera, spiegava: “Zaia l’ho avuto come ministro e le dico che è un galantuomo, una persona capace che trova sempre delle soluzioni e fa”. Parole che potrebbero tranquillamente tornare d’attualità anche oggi, proprio mentre il Cavaliere si trova stretto fra chi nel suo partito guarda all’accordo con l’ex sindaco di Firenze e chi, al contrario, vorrebbe sposare la prospettiva “lepenista” del duo Salvini-Meloni.

Veti incrociati – Berlusconi non disdegnerebbe invece la “terza via”, l’ipotesi Zaia appunto. Non è un caso, dunque, che qualcuno stia già lavorando alla possibilità che si concretizzi. E quel qualcuno si chiama Giovanni Toti. Anche se ormai è in rotta con Berlusconi, il governatore della Liguria ha saldato un asse col presidente della Lombardia Roberto Maroni (leghista pure lui) e lo stesso ex ministro dell’Agricoltura. Obiettivo: ricostruire una coalizione che includa tutti i pezzi che contano del Centrodestra, a cominciare da Forza Italia, Carroccio e Fratelli d’Italia, con Zaia come candidato a Palazzo Chigi. Salvini non prende nemmeno in considerazione l’ipotesi, che nei giorni scorsi ha bollato come “una bufala giornalistica”. Il fatto è che in questa partita il segretario federale della Lega Nord ha molto da perdere. Come noto, Zaia non è un lepenista, così come non lo sono né Maroni né Toti. E così come non lo è Berlusconi. Ecco perché alla fine, per contare qualcosa, “l’altro Matteo” potrebbe trovarsi costretto a fare dietrofront, passando il testimone. I sondaggi, del resto, dicono che andare da soli sarebbe un suicidio.