Centrosinistra, effetto regionali: Schlein si rafforza, Conte tentato dal proporzionale, Decaro battitore libero

Il centrosinistra vince con Fico e Decaro, ma la premiership resta il punto fragile che può unire o far saltare la coalizione

Centrosinistra, effetto regionali: Schlein si rafforza, Conte tentato dal proporzionale, Decaro battitore libero

Le regionali hanno rimesso ordine nel centrosinistra meglio di qualsiasi congresso. Non per il numero delle regioni conquistate, ma per come sono state conquistate: Fico al 60,63%, Decaro al 63,97%, candidature forti e partiti costretti a stare un passo indietro. È la prova che la coalizione funziona quando smette di immaginare equilibri astratti e torna a guardare i voti.

La linea che tiene e quella che cede

Nel Pd la discussione interna si è spenta senza nemmeno cominciare. Il 25,9% in Puglia e il primo posto nel totale dei voti regionali 2024-2025 spingono Schlein nel territorio che le mancava: la leadership riconosciuta dai fatti e non dalle mozioni. Le correnti capiscono che la stagione della “verifica dopo le regionali” è finita. La linea dell’unità, che fino a poco tempo fa sembrava un esercizio di retorica, diventa l’unico metodo credibile per governare un partito che fa risultati solo quando accetta di non essere autosufficiente. Schlein non ha ancora l’egemonia, ma ha finalmente il peso specifico per decidere il passo dell’intera coalizione.

Nel M5S succede il contrario: la vittoria politica non coincide con quella del partito. Fico trionfa, la lista resta al 9,12% ma con la civica del governatore si assesta intorno al 15%. In Puglia si scende al 7,2%, nel Nord il movimento non esiste. Conte resta schiacciato in una parabola che gli concede visibilità ma non forza negoziale. L’ambiguità sulla legge proporzionale — che potrebbe permettergli di correre da solo — è diventata una tentazione. Non la dichiara, ma la coltiva. È un modo per ricordare agli alleati che il M5S non vuole essere trattato come un partito gregario, anche se i numeri vanno esattamente in quella direzione.

AVS tiene la posizione senza muovere nulla. Indispensabile per la coesione del campo, irrilevante per la competizione. Il suo spazio è identitario, non elettorale.

Il centro resta una creatura di comunicati stampa. Renzi ottiene un 5,8% che gli permette di farsi sentire, non di orientare la coalizione. Calenda non lascia impronte. Il terzo polo continua a essere un’insegna senza edificio, un progetto che cambia forma ogni volta che incontra le urne. Nessun risultato indica che possa condizionare la strategia del centrosinistra.

E poi c’è Decaro. La sua vittoria non è solo larga: è autonoma. Nessuna passerella, nessuna chiusura nazionale, nessun rituale di investitura. Decaro comunica un messaggio semplice: è nel PD, ma non è un prodotto del PD. È dentro l’alleanza, ma non dipende da essa. Chi nel partito pensa a un futuro equilibrio interno sa che il suo nome entrerà nelle discussioni prima di molti altri. Non come sfidante di oggi, ma come variabile di domani.

La premiership, il punto dove tutto si decide

Il nodo è aperto: chi guida il centrosinistra. Schlein è più forte, ma non abbastanza per chiudere la partita con un atto unilaterale. Conte conserva un capitale personale che il M5S fatica però a convertire in voti reali. È un paradosso che rischia di pesare più dei risultati regionali. Il Pd sa che non può imporre la candidatura; il M5S sa che non può rivendicarla senza numeri.

Le primarie di coalizione restano l’ipotesi che tutti fingono di non vedere. Schlein le teme perché sanno di trappola; Conte le può minacciare senza mai chiederle davvero; gli alleati minori le evocano solo per evitare decisioni calate dall’alto. Intanto Meloni lavora alla riforma elettorale pensata per indebolire il campo largo e per offrire al M5S uno scenario in cui correre da solo torna appetibile.

Le regionali dicono che l’opposizione può competere. Ma l’alternativa di governo nasce solo se la premiership viene decisa prima, chiaramente, senza paura di scontentare qualcuno. Perché è su quel nome — uno solo — che il centrosinistra si unisce o si rompe. E lì, adesso, si gioca il futuro.