Cercarsi seggio disperatamente. Ecco gli ultimi salti della quaglia prima delle elezioni: così i cambi di casacca toccano quota 546

Non si fermano nemmeno con la legislatura arrivata praticamente ai titoli di coda. Anzi, al contrario aumentano. Ultimi salti della quaglia prima di tornare a votare a marzo 2018 proprio per accaparrarsi a tutti i costi un posto in lista. Ammesso che basti, col Rosatellum, per tornare in Parlamento. Stiamo parlando dei famigerati cambi di casacca, letteralmente esplosi in questi 5 anni.

Parlano i numeri: sono 546 quelli ufficialmente censiti da Openpolis, che hanno coinvolto 345 parlamentari (il 36,32% degli eletti con una media di 9,64 al mese). Nello specifico, 206 deputati e 139 senatori. Vuol dire che c’è qualcuno che, evidentemente dopo averci preso gusto, si è spostato più volte da un gruppo all’altro, come nel caso del recordman Luigi Compagna che ne ha cambiati addirittura 9. Proprio così. Nel quinquennio 2008/2013 il conto si fermò – si fa per dire – a 179: 121 a Montecitorio e 58 a Palazzo Madama. Gli ultimi casi in ordine di tempo rendono bene l’idea del perché di questo andirivieni. Curioso, per esempio, che un parlamentare pugliese, fittiano doc come Trifone “Nuccio” Altieri sia passato alla Lega, presentandosi in conferenza stampa al fianco di Matteo Salvini in persona e di Roberto Marti, pure lui fedelissimo dell’ex governatore della Puglia folgorato sulla strada che porta via Bellerio. O che una senatrice ex Cinque Stelle come Cristina De Pietro, iscritta al Gruppo Misto dal 9 ottobre 2014 dopo aver detto addio al Movimento in polemica con la linea politica, sia passata il 6 dicembre scorso tra le file di Forza Italia, il partito del “nemico” giurato di Grillo e Co., Silvio Berlusconi. Più o meno come aveva fatto a gennaio dell’anno scorso l’altra ex pentastellata Adele Gambaro, finita nientemeno che coi verdiniani di Ala.

Difficile al momento dire se questo “giro di valzer”, come lo definisce Openpolis, sia da considerarsi concluso. Nessuno infatti vuole mollare la presa e lo scranno, ça va sans dire. Così viene quasi da rimpiangere la Prima Repubblica, quando la mobilità parlamentare era praticamente ridotta all’osso. Ma questa, si sa, è tutta un’altra storia.

Twitter: @GiorgioVelardi