Chi chiede asilo politico deve essere liberato: altra grana sui Cpr in Albania

Nuova tegola sui Cpr albanesi: la sentenza potrebbe mettere in crisi l'intero progetto del governo. Mentre è polemica sui costi dei rimpatri

Chi chiede asilo politico deve essere liberato: altra grana sui Cpr in Albania

Un filotto di “fortunate” coincidenze, partite con le celebrazioni pasquali e terminate con la dipartita del Santo Padre. Fortunate, perché altrimenti l’esecutivo di Giorgia Meloni avrebbe dovuto provare a giustificare l’ennesima figuraccia sui tanto decantati Centri per migranti in Albania. L’ultima tegola sul governo è arrivata dalla Corte di Appello di Roma, la quale ha stabilito che se uno straniero, trasferito nel Cpr in Albania, chiede la protezione internazionale, non può essere trattenuto nella struttura di Gjader e deve essere riportato in Italia. Un precedente potenzialmente devastante per l’intera operazione Albania.

Il caso

La Corte, in composizione monocratica, lo ha messo nero su bianco nella sentenza di otto pagine con la quale ha disposto “l’inapplicabilità alla fattispecie in esame del Protocollo Italia-Albania”, non convalidando il trattenimento. Il caso riguardava un cittadino marocchino che era stato trasferito nel centro albanese l’11 aprile scorso. L’uomo, che risulta in Italia dal 2021 e nel 2023, aveva ricevuto una condanna penale dal Tribunale di Napoli ed era stato espulso dalla prefettura della stessa città il 31 marzo.

Nel corso della sua permanenza del Cpr l’uomo ha manifestato la volontà di presentare la richiesta di asilo. Una iniziativa che in base alla normativa fa scattare una nuova udienza di convalida che per competenza spetta ai giudici di Roma per i richiedenti protezione internazionale, mentre quella per la sua reclusione spettava al giudice di pace.

Valida a tutti gli effetti la domanda di protezione, anche se presentata nel Cpr albanese

Nella sentenza il giudice sul punto ha affermato che “la domanda di protezione internazionale formulata sul territorio albanese, equiparato, ai soli fini del Protocollo Italia-Albania e dello svolgimento delle procedure ivi previste, a zone di frontiera o di transito deve considerarsi validamente presentata come richiesta di asilo rivolta allo Stato italiano”.

Nel caso specifico la “volontà di richiedere la protezione internazionale è stata manifestata durante il trattenimento in corso presso il Cpr di Gjader, dove il cittadino straniero – si legge nell’atto dei giudici capitolini – è stato condotto coattivamente, senza il suo consenso e senza che, durante il trasferimento, sia venuto meno il titolo di trattenimento o che vi sia stata incidenza alcuna sulla procedura alla quale lo straniero è stato sottoposto in Italia, tal che deve ritenersi che la domanda sia stata validamente presentata, nel corso della medesima procedura, dinanzi allo Stato Italiano”.

In sostanza, afferma il giudice, la “valida presentazione della domanda di protezione internazionale ha mutato il titolo del trattenimento del cittadino straniero, non più finalizzato all’esecuzione del suo rimpatrio, bensì allo svolgimento della domanda di asilo”. Conseguentemente “non rientra più nelle categorie di soggetti individuati dal Protocollo (Italia-Albania, ndr)” e nei suoi confronti “non sono applicabili le procedure previste”.

Una fattispecie non contemplata nel protocollo Italia-Albania sui Cpr

Per la Corte d’Appello, in conclusione, sia “sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo il Protocollo e la correlata legge di ratifica non possono trovare applicazione nel caso sottoposto all’esame della Corte, non essendo espressamente previsto né nel Protocollo né nella sua legge di ratifica un trattenimento del richiedente asilo un Albania nel Cpr di Gjader”.

Tradotto: l’accordo stretto con l’Albania riguarda i richiedenti asilo mai entrati in Italia e gli “irregolari” destinatari di espulsione già presenti sul territorio nazionale. Ma se il migrante irregolare già detenuto nel Cpr, diventa un richiedente asilo, viene a crearsi un terzo caso, non contemplato dalla normativa, che chiede un’altra procedura.

Il venditore di rose rimpatriato al triplo della spesa per gli italiani

E, se l’intero Paese non fosse intento a seguire le esequie di Bergoglio, forse gli italiani vorrebbe sapere perché hanno pagato il triplo del previsto l’unico rimpatrio – trionfalmente annunciato dal governo – fino a oggi avvenuto di un migrante dall’Albania al Paese di origine.

Si tratta di un 42enne bengalese in Italia dal 2009, un venditore di rose espulso per pericolosità sociale, che non si era opposto alla procedura di espulsione. Arrivato a Gjader insieme agli altri 40 migranti partiti dal Brindisi l’11 aprile scorso, è stato riportato in Italia dopo una settimana e qui re-imbarcato per il Bangladesh. Costo totale del trasferimento: oltre 6mila euro, il doppio della quota-limite fissata dal Viminale nel 2024 di  2.800 euro.