Chi lo sbatte in galera passa alla storia

di Gaetano Pedullà

Venghino signori venghino! Da stasera c’è un’occasione unica per entrare nei libri di storia. Il primo giudice che manda in galera Silvio Berlusconi vince tutto: titoli sui giornali, fama e – c’è da scommetterci – una comoda carriera da parlamentare. Non importa con quale accusa lo arrestano, se per un filone disperso di qualche vecchio processo o chiamandolo a rispondere di crimini nuovi. Caduto l’ombrello del Senato, venti anni di guerra aperta con metà della nostra magistratura presenteranno il conto. O qualcuno si illude che le intemerate a raffica contro intere Procure, l’Associazione nazionale magistrati e tutto il sistema giudiziario sono perdonate? Nel braccio di ferro con le toghe non è previsto il pareggio: o si vince o si perde. E dopo 34 processi dal 1994 (quando entrò in politica) ad oggi, Berlusconi ne ha perso uno. Meglio che tenga la valigia con gli effetti personali sempre pronta. E si prepari a dormire chiudendo un occhio solo. Gli arresti, si sa, vanno fatti prima che spunti l’alba. Ora, al di là di ogni giudizio sul Cavaliere politico, la decadenza ormai inevitabile riporta le lancette del Paese indietro di vent’anni. La pacificazione della politica che il Quirinale ci ha illuso di poter fare imponendo le larghe intese, dopo mezzo passo avanti rischia di farne due indietro. Non solo perché ieri Forza Italia ha sciolto ogni equivoco passando all’opposizione. La spaccatura del Centrodestra radicalizzerà lo scontro con la Sinistra e mentre ci siamo trascinerà in questa sorta di italica guerra civile permanente anche i Pdl di Alfano, marchiati a vita con il timbro dei traditori. Pane per i denti dei sempre più noiosi talk show della politica, mentre all’Italia serve tutto tranne che restare appesa alle sorti di Berlusconi. Farne un martire politico, o peggio un galeotto, farà contenta da morire mezza Italia. Ma spingerà l’altra metà a combattere di nuovo. Un capolavoro che non promette bene per il futuro del Paese.