Chi sbaglia paga pure all’Ilva. Di Maio non cede ad ArcelorMittal. Il gruppo torna alla carica sull’impunità. E minaccia di chiudere i battenti a settembre

Chi sbaglia paga. Nessuna impunità. Vale per tutti e anche per ArcelorMittal nella gestione dell’ex Ilva. Lo ha ribadito ieri il vicepremier Luigi Di Maio, smentendo le notizie lanciate dal colosso dell’acciaio su una trattativa per ridare uno scudo alla società sul fronte ambientale. Il leader del Movimento 5 Stelle è intervenuto sulla vicenda via Twitter. “A Taranto – ha scritto Di Maio – abbiamo abolito l’immunità penale che aveva introdotto il Pd. Proteggeva chi gestiva quello stabilimento anche in caso di responsabilità da morti sul lavoro o disastri ambientali. Oggi qualcuno ha detto che l’immunità tornerà. è falso. Quella norma mostruosa – ha proseguito – non tornerà mai più. Chi è responsabile della morte sul lavoro di un operaio o decide di non mantenere gli impegni presi sugli adeguamenti ambientali, d’ora in poi pagherà. Sempre. Se ne facciano tutti una ragione”.

Un intervento effettuato dopo che nella call con gli azionisti il direttore finanziario di ArcelorMittal, Aditya Mittal, aveva parlato di collaborazione costruttiva con il governo, spiegando che sarebbero in corso interlocuzioni per valutare il ripristino dell’immunità. Uno scudo tolto dal Governo Conte con una norma del decreto Crescita a partire dal 6 settembre e che garantiva a chi gestisce l’ex Ilva di Taranto di non affrontare eventuali processi per questioni legate agli impianti fino alla completa attuazione del piano ambientale, per il quale il termine è stato fissato all’agosto 2023.

LE REAZIONI. Non si è fatta quindi attendere la risposta del colosso dell’acciaio, che con una nota ha chiesto a Palazzo Chigi “la necessaria tutela giuridica per poter continuare ad attuare il proprio piano ambientale”, specificando che resta fiducioso “che si troverà una soluzione”. ArcelorMittal aveva lanciato l’allarme a giugno, sostenendo che senza una soluzione entro il 6 settembre l’impianto rischia di chiudere. L’entrata in vigore della norma, per il gruppo siderurgico, “non consentirebbe ad alcuna società di gestire l’impianto oltre il 6 settembre, una data che è stata fissata dal governo, a meno che non sia garantita la necessaria tutela ambientale”.

OPPOSIZIONE ALL’ATTACCO. Il caso non poteva che scatenare l’opposizione. Ad attaccare il vicepremier e ministro dello sviluppo economico per la gestione del dossier Taranto è stato il deputato Gianluca Benamati, del Pd, vicepresidente della Commissione attività produttive della Camera: “Pensare che una delle più grandi aziende manifatturiere del mondo e il Ministero dello sviluppo economico di una delle più grandi potenze industriali della Terra, quando si parlano non si capiscono, è oltre ogni umana comprensione. Qualcosa non torna”. Ancora: “Non si può lasciare in questa incertezza uno dei più grandi comparti industriali del Paese e non si può non dare un futuro a tanti lavoratori e alle loro famiglie. No, con questo teatro dell’assurdo”.