Ci mancava pure il glifosato. Altro veleno nelle acque lombarde

Nella rete di canali regionali lombardi rilevata la presenza di glifosato a livelli migliaia di volte superiori alle soglie di legge.

Ci mancava pure il glifosato. Altro veleno nelle acque lombarde

Dopo quello di Greenpeace per la presenza di Pfas nelle acqua lombarde, riscontrate in quasi il 20% delle analisi condotte dalle autorità a partire dal 2018, un altro allarme arriva da uno studio condotto dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e da Irsa/Cnr che ha rilevato una presenza di glifosato a livelli migliaia di volte superiori alle soglie di legge nel reticolo irriguo secondario della regione. Il reticolo idrico secondario lombardo è la fitta maglia fine di canali, rogge e fontanili che innerva la pianura lombarda e che non viene considerato dalle analisi di routine, che prelevano campioni da fiumi e corpi idrici principali.

Nella rete di canali regionali lombardi rilevata la presenza di glifosato a livelli migliaia di volte superiori alle soglie di legge

Tra le centinaia di prodotti fitosanitari impiegati nei campi coltivati, il glifosato è il più utilizzato. Quasi un milione di tonnellate di questo principio attivo vengono distribuite su centinaia di milioni di ettari coltivati, in tutto il mondo. Il glifosato è una molecola di basso costo ed elevata efficacia e solubilità in acqua, attiva in modo assolutamente non selettivo verso un ampio spettro di specie di vegetali, funghi e microrganismi.

La tossicità acuta del glifosato per l’uomo è relativamente bassa, ma a causa della sua vastissima diffusione, oltre alle esposizioni professionali – spiega Legambiente – è divenuto necessario considerare le conseguenze a lungo termine, relativi alla potenziale cancerogenicità, alla dannosità per cellule ed embrioni, alle interferenze con il sistema ormonale. In Italia costituisce il pesticida di maggior impiego, tanto da costituire il 52% di tutti gli erbicidi utilizzati. Nel periodico report di Ispra sulla presenza di pesticidi nelle acque, il glifosate e il suo metabolita (Ampa) costituiscono di gran lunga le sostanze più frequentemente rintracciate nelle acque superficiali, con oltre metà di tutti i campioni che supera i limiti di legge per uno o entrambi i parametri.

Lo studio citato ha analizzato la presenza del pesticida nelle acque lombarde e i potenziali effetti salute sulla biodiversità delle comunità naturali legate alle acque. “I dati hanno fornito le evidenze attese, facendo registrare valori di inquinamento da glifosato e da Ampa molto elevati e preoccupanti anche in quanto si tratta delle stesse acque che vengono impiegate per l’irrigazione dei campi”, spiega Stefano Bocchi, docente di agronomia dell’Università di Milano.

“Un esempio emblematico dei problemi che questo inquinamento genera è stato riscontrato nelle acque in entrata in alcune aziende risicole della provincia di Pavia che, pur disponendo della certificazione biologica, avevano dovuto rinunciare a commercializzare il loro prodotto a causa dei livelli anomali di residui di pesticidi riscontrati, la cui origine era da ricondurre nelle acque impiegate per l’irrigazione”, dice Fabrizio Stefani, di Irsa-Cnr.

Le analisi delle acque del reticolo idrico secondario e terziario lombardo sono state estese a un territorio comprendente gran parte della pianura irrigua, dalla provincia di Novara a quella di Cremona passando per Pavia, Milano, Lodi, e Bergamo. Nel corso della campagna sono stati riscontrati valori eccedenti il limite imposto, che è pari a 0,1 microgrammo/L, fino a livelli di alcune centinaia di microgrammi/L, con superamento del valore soglia di migliaia di volte.

È necessario che “l’Unione Europea decida di non rinnovare la licenza per l’impiego di questa sostanza alla sua scadenza, alla fine del 2023”, hanno spiegato Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia, e Federica Luoni, referente dell’associazione Lipu nella coalizione Cambiamo Agricoltura. Altrimenti sarà impossibile raggiungere gli obiettivi del Green Deal, come quello della strategia Farm to fork che prevede di dimezzare entro il 2030 l’utilizzo dei fitofarmaci”.