Ci mancava solo il tormentone delle Autonomie. Le Regioni tornano in pressing su Boccia, a caccia di poteri

Alla fine il presidente dell’Emilia Romagna e quello del Veneto l’hanno (quasi) spuntata: l’autonomia amministrativa auspicata da Stefano Bonaccini, inseguita già nel corso del suo primo mandato nell’accordo raggiunto con il governo guidato dall’ex premier Paolo Gentiloni nel 2017 e da Luca Zaia, che ne ha fatto una vera e propria bandiera potendo contare anche sul plebiscito (98%) del Sì al referendum con il quale il 22 ottobre del 2017 aveva chiesto per la sua regione maggior autonomia dallo Stato centrale, pare in dirittura d’arrivo.

Il disegno di legge quadro sul quale sta lavorando il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, è quasi pronto per essere portato all’attenzione del Parlamento all’inizio di ottobre. Cuore del ddl è l’attribuzione alle regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nel rispetto dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep): sarà però necessario che prima del trasferimento di competenza dallo Stato alle regioni vengano definiti i relativi Lep, partendo da quattro materie che sono sanità, sociale, istruzione e trasporto pubblico. Su questo punto Boccia è intervenuto anche ieri, durante un giro elettorale in provincia di Lucca: “Al tavolo delle autonomie oggi ci sono tutti i sindaci metropolitani, tutte le regioni, e ci sono i sindaci, significa che è diventata una riforma condivisa, che è il completamento dell’attuazione del titolo V. Abbiamo tolto dal tavolo i livelli essenziali di prestazioni scuola, sanità, trasporto pubblico locale, assistenza, il Parlamento dirà l’ultima parola. Su tutto il resto hanno ragione Zaia e Bonaccini a chiedere il decentramento amministrativo spinto”.

“Con Zaia – ha sottolineato Boccia – ci siamo parlati il primo giorno e ci siamo dati reciprocamente affidamento istituzionale, nel senso che entrambi abbiamo rispettato i ruoli che abbiamo. Io avevo chiesto di credere nel percorso avviato, ma a quel tavolo non c’era nessuno. C’erano Veneto, Lombardia, Emilia Romagna ma le altre regioni non volevano sedersi. Ora ci sono tutti”. Nel documento preliminare vengono anche prospettati i tempi e il percorso che le regioni affronteranno una volta approvata la legge: un iter con passaggi parlamentari ma che si basa sull’accordo tra il governo statale e quello regionale. “Il Pd voterà sì – spiega il ministro – perché è il primo passo per un percorso condiviso per modificare la Costituzione”.