Il governo, Salvini in primis, esultano per il nuovo Codice appalti parlando di cancellazione della burocrazia e maggiore rapidità nei lavori pubblici. Luigi De Magistris, (Unione popolare), quanto costa in termini di legalità questo risultato?
“La politica vuole mani libere per avere mani in pasta. C’è un fiume di denaro pubblico da spendere: una grande opportunità per il paese ma anche una occasione ghiotta per il sistema criminale che sempre più si è mimetizzato a tutti i livelli istituzionali. Il 98% dei lavori sarà affidato senza gara pubblica, i sub-appalti saranno senza limiti, meno sicurezza e tutele per i lavoratori, meno vincoli a tutela del paesaggio. Si doveva invece semplificare il quadro normativo e ridurre la burocrazia, non cancellare le regole che garantiscono trasparenza e legalità e impediscono una devastazione dei nostri territori. Stiamo affidando la cura a chi ci ha portato alla distruzione di ambiente e territori ed è come affidare a Dracula la banca del sangue”.
Secondo la sua esperienza da magistrato e da amministratore è esagerato definire questo Codice un regalo alle mafie?
“Non è affatto esagerato, è un regalo a quel sistema criminale che vive di rapporti tra un pezzo significativo della politica, diverse imprese e le organizzazioni mafiose guidate da colletti bianchi e sempre più infiltrate nell’economia e nelle istituzioni. Il denaro pubblico serve alla mafie per entrare nelle istituzioni a livelli locali e nazionali”.
In vista delle ingenti somme che arrivano dall’Europa (se arrivano) questo paese le sembra strutturato per difendersi da mafie e corruzione?
“La lotta alle mafie e alla corruzione da troppi anni non è più la priorità di governi e parlamenti. Anche un pezzo dell’opinione pubblica, in buona fede, pensa che meno tritolo=meno mafie. Mentre invece le mafie, soprattutto la ’ndrangheta, sono penetrate ad ogni livello ed in ogni parte del nostro paese. Si assiste ad un crollo complessivo della tensione morale su questi temi ed anche la magistratura, con lodevoli eccezioni, sembra arretrare nel contrasto alla borghesia mafiosa avendo perso anche credibilità negli ultimi anni per troppi scandali. Chi si è opposto da dentro le istituzioni al sistema criminale è stato ed è duramente contrastato e talvolta fermato e gli organi di controllo efficaci vengono sistematicamente depotenziati. I prossimi passaggi saranno ridimensionamento della giustizia amministrativa e delle sovrintendenze”.
Cosa ne pensa del combinato disposto Cartabia-Salvini che consentirà anche a imputati, indagati, sotto processo, di accedere agli appalti pubblici?
“Semplicemente una conferma di un disegno politico che non vuole contrastare opacità e zone d’ombra. Addirittura chi ha patteggiato reati gravi può partecipare. Gli onesti sono i fessi, per i furbi si trova sempre il cavillo. Il governo Draghi, con la Cartabia alla giustizia, non era l’esecutivo dei migliori, forse lo era per i poteri forti e per un certo circuito mediatico-finanziario-politico, ma non per chi crede nella giustizia e nella legalità. La riforma Cartabia più entra in funzione e più fa danni, sembra un percorso ad ostacoli per non rendere giustizia ma una serie di uscite di emergenza per garantire al sistema e ai suoi accoliti di poter agire sempre più indisturbati. Per non parlare di quello che vuole fare Nordio e la maggioranza per scardinare definitivamente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura: stop intercettazioni proprio sui reati in materia di appalti e corruzioni, più ostacoli per i pm scomodi, via obbligatorietà dell’azione penale. La magistratura conformista quella voluta dalle riforme Mastella e Cartabia. Il sistema è allergico ai controlli del potere diffuso”.
Cosa servirebbe a questo Paese per avere una seria riforma del codice degli appalti?
“In primo luogo una politica onesta, libera, autonoma, competente e coraggiosa. Meno regole, non il ginepraio incomprensibile che nasconde corruzioni, ma che siano chiare ed efficaci, comprensibili a tutti. Semplificazione delle procedure, controlli sostanziali e non solo formali, assumere giovani bravi nella pubblica amministrazione, commissioni di aggiudicazione non condizionabili scelte se del caso anche con sorteggio tra persone qualificate, promuovere le imprese che denunciano pizzo e mafie e che rispettano i diritti dei lavoratori e che applicano anche clausole sociali. Si deve rompere il rapporto opaco pubblico-privato che attraverso il denaro pubblico cementifica il legame con le mafie e alimenta i cosiddetti prenditori, quelli che prendono i soldi dei contribuenti e non fanno nulla per l’interesse pubblico. E l’autonomia differenziata darà ancora più potere ai vertici regionali dove transita una quantità enorme di denaro pubblico e si addensano spesso le relazioni più opache”.
Come valuta, più in generale, la postura di questo governo nei confronti delle organizzazioni criminali?
“Un governo con la spada di ferro verso i più deboli, gli oppressi e i dissenzienti e con la spada di latta nei confronti delle organizzazioni criminali. Un indizio è un indizio, due indizi fanno due indizi, tre indizi una prova. Gli indizi ad oggi sono gravi, precisi e concordanti. E anche la sicurezza nelle grandi città è peggiorata addirittura con questo governo, più crimini, meno prevenzione e controllo del territorio, più paura tra i cittadini. Avremo sempre di più poi il manganello per le piazze ed i regali per le mafie”.
È pensabile che di fronte a un colpo di mano del genere in Italia si strutturi una reale protesta in Parlamento e in piazza?
“In Parlamento le opposizioni più che protestare devono fare la loro parte istituzionale mostrandosi possibilmente coese, ma hanno anche molto perso in credibilità complessiva nel paese per avere profondamente deluso quando hanno governato ed agito male anche su questi temi. Nelle piazze il popolo dovrebbe invece protestare, ritrovare la coscienza collettiva di che vuol dire avere la forza del popolo, vediamo quello che accade in Francia, lottare e conquistare i propri diritti, rompere il sistema e costruire dal basso l’alternativa di governo. Questo anche significa che la sovranità appartiene al popolo”.