Consumo di suolo, in Italia ogni ora scompare un campo da calcio

Il rapporto Snpa fotografa un’Italia che cementifica senza freni. Ma la legge sul consumo di suolo non è mai arrivata in Aula.

Consumo di suolo, in Italia ogni ora scompare un campo da calcio

Ogni ora, in Italia, sparisce un campo da calcio. Diecimila metri quadrati di suolo fertile diventano capannoni, piazzali, data center. Il nuovo rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) certifica un’accelerazione del fenomeno: solo nel 2024 la logistica ha occupato oltre 6.000 ettari dal 2006 a oggi, con nuovi picchi in Emilia-Romagna (+107 ettari), Piemonte (+74) e Lombardia (+69). A questi si sommano 37 ettari divorati dai data center, spinti dalla corsa alle infrastrutture digitali. Non è un incidente statistico, ma la fotografia di un modello economico che sacrifica territorio in nome della velocità delle merci e del potere dei server.

Consumo di suolo: le aree a rischio

Il consumo di suolo non colpisce in modo neutro: cresce dove il territorio è già fragile. Nel 2024 si registrano +1.303 ettari cementificati in zone a pericolosità idraulica media e +600 nelle aree a rischio frana. Significa che si costruisce dove frane e alluvioni sono più probabili, aumentando il costo sociale dei disastri futuri. Anche le coste vengono erose dal cemento: nei primi 300 metri dal mare il suolo consumato tocca il 22,9%, più del triplo della media nazionale. Nelle aree protette si contano ulteriori 81 ettari impermeabilizzati, di cui il 73% dentro parchi nazionali e regionali. Nel frattempo, la superficie rinaturalizzata cala dagli 8,2 chilometri quadrati del 2023 ai 5,2 del 2024. Sono numeri che dicono una cosa semplice: l’Italia impermeabilizza, non ripara.

La narrazione ufficiale parla di “tutela”, ma le scelte vanno altrove. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha definito la legge nazionale sul suolo “una priorità”; la priorità, però, non è mai arrivata in Aula. L’unico strumento sbandierato è il “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”: 160 milioni in cinque anni, dedicati soprattutto a interventi ex post di rinaturalizzazione. Una scala minima, pensata più per rassicurare l’opinione pubblica che per fermare le cause della cementificazione. Il risultato è la solita promessa che si scioglie al primo sole dei cantieri.

La spinta della logistica e il ruolo del Mit

L’esecutivo non si limita a non fermare il fenomeno: lo alimenta. Il Ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini continua a spingere nuovi poli logistici, scali merci e opere ad alto impatto. È la stessa filiera che il Snpa indica come motore principale del consumo di suolo: la coincidenza non è casuale, è politica. Nel frattempo, la retorica delle “grandi opere identitarie” – dal Ponte sullo Stretto ai nuovi hub – sottrae risorse alla manutenzione del territorio e alla rigenerazione dell’esistente, mentre le superfici naturali in città arretrano e le periferie si riempiono di “scatole” che generano traffico e costi ambientali aggiuntivi.

Il vuoto legislativo non è un incidente della storia parlamentare: è un perimetro funzionale. Senza una legge-quadro sul suolo, resta ampia discrezionalità per nuove colate su suolo vergine; con una legge forte, servirebbero obiettivi, tappe, sanzioni e il principio del riuso prima del nuovo. La maggioranza sceglie il primo scenario e, a Bruxelles, chiede di annacquare gli obiettivi sul ripristino della natura, proprio mentre il Parlamento europeo approva la prima Direttiva sul suolo che punta a “suoli sani” in tutta l’Unione. L’Italia resta senza una norma nazionale e con dati che peggiorano.

Effetto boomerang: tra profitto e rischio

C’è poi l’effetto-boomerang: costruire in zone esposte significa socializzare i rischi e privatizzare i profitti. Ogni ettaro impermeabilizzato in aree a pericolosità idraulica aumenta il deflusso, amplifica i danni degli eventi estremi e apre falle nei bilanci pubblici futuri, tra somma urgenza, ristori e ricostruzioni. È una contabilità che non compare nei comunicati, ma che torna puntuale nelle settimane di pioggia. E quando si invoca il “ripristino”, i numeri ricordano che si sta correndo all’indietro: rinaturalizziamo meno di ieri, mentre costruiamo più di oggi.

Il punto è qui: il cemento non è un effetto collaterale, è la conseguenza diretta di scelte politiche. L’assenza di una legge, la spinta alla logistica, il fondo cosmetico. Un triangolo perfetto che produce un Paese più fragile e più ingiusto, perché i costi della fragilità li pagano cittadini e territori, mentre i benefici si concentrano nelle filiere che “divorano” suolo. Se davvero “la priorità è il suolo”, lo si dimostra fermando la perdita, non comunicandola. Finché non accade, l’orologio continuerà a segnare: un campo da calcio ogni ora. E il conto, come sempre, lo pagheremo noi.