Conte conferma la linea M5S: “Risposte sui nove punti o niente fiducia”. E gli scissionisti prendono tempo

Conte conferma la linea M5S: “Risposte sui 9 punti o niente fiducia”. E gli scissionisti prendono tempo: la decisione in Aula

Conte conferma la linea M5S: “Risposte sui nove punti o niente fiducia”. E gli scissionisti prendono tempo

Conte conferma la linea M5S, gli scissionisti prendono tempo. Mancano ormai soltanto poche ore al discorso che terrà Mario Draghi in Aula al Senato (per poi replicare eventualmente giovedì alla Camera) e su cui poi chiederà la fiducia.

Un momento delicato e capitale per la legislatura. E, mentre le altre forze politiche hanno grossomodo preso posizione e lasciato trasparire quale sarà il voto che esprimeranno (di fatto a scatola chiusa, non sapendo cosa dirà il premier), discorso diverso riguarda il Movimento cinque stelle.

Che, unica forza nell’arco parlamentare ad aver fatto questo tipo di ragionamento, ha di fatto rinviato ogni decisione in attesa di capire cosa dirà Draghi in Aula a Palazzo Madama.

Conte conferma la linea M5S

Il ragionamento è molto chiaro, per certi aspetti: “Finora abbiamo sempre detto – spiega una fonte interna – che ci aspettiamo segnali concreti dal governo e dal presidente del Consiglio. A Draghi in tempi non sospetti il nostro presidente Conte ha consegnato nove punti che per noi sono fondamentali. Da allora cos’è successo? Nulla, a parte la promessa di impegni. Vedremo oggi che cosa dirà il premier in riferimento proprio a quanto noi chiediamo ormai da settimane”.

Fuori dal politichese: per i pentastellati se Draghi dovesse garantire condizioni per intervenire concretamente su tematiche che stanno a cuore al Movimento – salario minimo e superbonus su tutti – si potrebbe votare la fiducia e continuare con uguale maggioranza. In caso contrario meglio andare all’opposizione.

Prevale la linea di Conte

Ragionamento semplice e complicato al tempo stesso perché inevitabilmente getta ogni tipo di previsione nel caos. Per il momento la posizione più condivisa (e di fatto sposata anche dallo stesso Giuseppe Conte) è quella che porterebbe il Movimento all’opposizione.

Dietro ovviamente ci sono anche calcoli elettorali. Se infatti Draghi dovesse continuare a governare – cosa che potrebbe fare avendo l’esecutivo larghissimi numeri al di là di cosa decida di fare il Movimento – gli stessi pentastellati potrebbero recuperare diversi punti percentuali nella posizione che più si addice loro: quella dell’opposizione, appunto.

Senza dimenticare che la cosa – e questo è un tema di cui pare lo stesso Conte tenga conto – potrebbe riportare nelle file del Movimento anche un personaggio trainante per gli attivisti, com’è Alessandro Di Battista.

Ma c’è un altro fattore su cui in queste ultime ore si ragiona: “Come potremmo credere – spiega un senatore M5S fortemente critico nei confronti dell’esecutivo – a un presidente del Consiglio che in tutti questi mesi non ha tenuto conto delle nostre istanze e delle nostre posizione? Cosa ci dovrebbe spingere a pensare che ora sarebbe diverso?”.

Dubbi condivisi dai più, considerando peraltro che anche prima del voto al Senato sul Dl Aiuti il presidente del Consiglio aveva incontrato i sindacati per parlare di salario minimo e alla fine, proprio perché non si è arrivati a nulla di concreto, il Movimento aveva ritenuto l’impegno del premier troppo esiguo per accordare una fiducia.

La partita resta aperta

Non è detta, però, l’ultima parola. D’altronde, nonostante le evidenti divisioni interne, due personaggi di spicco del Movimento e con due posizioni distinte come sono il vicepresidente M5S Riccardo Ricciardi (critico con Draghi) e il capogruppo pentastellato alla Camera Davide Crippa (governista) ieri hanno di fatto espresso una posizione molto simile.

Quest’ultimo ha ribadito ancora ieri di voler votare la fiducia, e con lui un nutrito gruppo di deputati grillini. A condizione però che il premier Draghi apra chiaramente al documento che lo stesso Conte gli aveva consegnato: “L’ho scritto in una chat – ha detto ieri Crippa alla fine della riunione dei capigruppo alla Camera – ascolteremo il discorso di Draghi in aula domani. Trovo chiaro che se aprirà ai principali temi posti all’interno dei 9 punti da parte del Movimento 5 stelle, diventa ingiustificabile non confermare la fiducia”.

E Ricciardi? “Se voteremo la fiducia? Ci sono i nove punti come ha già dichiarato il presidente Conte, attendiamo risposte. Non siamo pronti a nuove scissioni ma si faccia un chiarimento interno prima”.

Insomma, ora la palla è in mano a Draghi che ha davanti a sé varie scelte. Ed è d’altronde questa la ragione dei tanti incontri (prima con Enrico Letta, dunque col centrodestra di governo) avuti ieri: potrà continuare col Movimento se dovesse fare importanti aperture sui temi chiave del welfare e della transizione ecologica; oppure potrà creare una nuova (altrettanto larga) maggioranza ma senza il Movimento che andrà all’opposizione e potrà assicurare un appoggio esterno in base ai vari provvedimenti da votare di volta in volta.

In questa duplice possibilità c’è anche chi si spinge oltre: “In entrambi i casi – sostiene un deputato grillino – per il Movimento potrebbe essere un successo: se andiamo all’opposizione recuperiamo consenso tornando a fare i “cinque stelle”; se invece dovessimo restare in maggioranza significa che avremmo dato un impulso rivoluzionario a questo governo”.

La scissione alle porte

Una lettura forse troppo semplicistica, per quanto condivisa da vari parlamentari. In ogni caso il rischio che permane nei pensieri di Conte è che, qualunque sia l’esito dei voti di fiducia di oggi e domani, altri fuoriusciti ci saranno.

Se il Movimento dovesse passare all’opposizione, si stima che 4-5 senatori e circa una ventina di deputati potrebbero lasciare i pentastellati. Probabilmente non passerebbero subito con Di Maio ma troverebbe sistemazione in altre forze politiche e nel gruppo Misto, almeno in un primo momento.

Stesso identico discorso, però, ci sarebbe se il Movimento dovesse restare in maggioranza: “Credo – spiega una fonte interna – che una decina tra senatori e deputati possa abbandonare il gruppo parlamentare. A malincuore ma potrebbero farlo”.

La ragione è presto spiegata: “Dopo aver fatto un importante passo in avanti col Dl Aiuti, come potremmo poi spiegare agli attivisti che ci chiedono di lasciare il governo questo dietrofront? Sarebbe un disastro per il Movimento”.

Questo il ragionamento di alcuni. Che concludono: “Se ci sono altri ‘draghiani’, meglio perderli. E poi però tornare a fare ‘il Movimento’”.