«Cooptati per anni, zitti e buoni. Facile chiedere ora il dibattito». Giorgio Stracquadanio sferza gli ex colleghi del Pdl: «Alzano la voce perché non sono più garantiti».

di Vittorio Pezzuto

«Per anni sono stati cooptati in Parlamento e al Governo. Andava loro bene tutto e se ne stavano buoni nel partito. E adesso improvvisamente parlano, chiedendo il dibattito interno, perché sanno che Silvio non può più eleggerli».
Ex deputato forzista di lungo corso, Giorgio Stracquadanio si considera un antesignano dello strappo dal cordone ombelicale berlusconiano (confluì nel gruppo Misto nel luglio 2012) ma non vuole infierire più di tanto sui vari Cicchitto, Lupi, Quagliariello, De Girolamo e Lorenzin. «Io invece ho sempre detto quello che pensavo» puntualizza. «Per mesi cercai invano di far capire che con la politica fiscale di Tremonti saremmo andati a sbattere. Dicevo loro: ancora tre mesi e cadiamo, non possiamo reggere al pressing europeo. Alfano mi guardava e non capiva, Gasparri mi pigliava per matto, Brunetta mi rimproverava di essere catastrofista. È andata come sappiamo. Ma era lo stesso Berlusconi a esser cambiato. Un tempo era sempre “col sole in tasca”, convinto di quello che faceva. Dalla rottura con Fini si è via via rinserrato in sé, diventando cupo e un poco rancoroso, sospettoso di complotti da tutte le parti. E negli ultimi mesi di vita il suo governo si è limitato a galleggiare, incapace di rompere l’assedio con un’iniziativa politica ariosa come in passato. Restava un’unica soluzione percorribile ma Silvio non mi ha voluto dar retta…».
Quale?
«Affiancarsi al capo dello Stato, favorire una reale transizione nel partito e annunciare il suo ritiro. In cambio doveva chiedere la garanzia del laticlavio a vita. Resto convinto che forse così non sarebbe mai stato condannato (non v’è infatti alcun dubbio che quella sui diritti Mediaset sia stata una sentenza politica). La guerra l’ha persa allora, rifiutando una sana ritirata strategica».
E ora?
«Dal 16 ottobre il Cavaliere non avrà più la golden share della vita politica di tutti costoro. Lo attende un futuro di detenzione domiciliare che gli impedirà sia la candidatura sia la conduzione della campagna elettorale. E in questo modo il risultato nelle urne sarà sicuramente inferiore alle attese. Ergo, chi sa di avere chance nel post berlusconismo si dà da fare adesso mentre tutti gli altri si aggrappano a lui sperando in un’elezione che li metta al riparo fino al 2019».
Molti scrivono che la crisi di governo servirebbe appunto a ridargli agibilità politica ed elettorale.
«Ma quando mai! Non ci sarà nessuna Corte d’appello disponibile ad accettare la sua candidatura. È pura illusione che un organo amministrativo (per giunta ficcato in un tribunale) possa accogliere la tesi secondo la quale i requisiti di candidabilità valgono solo per il futuro. L’errore colossale del Pdl è stato quello di accettare l’introduzione nella legge Severino di un principio – quello della incandidabilità – che non è previsto nemmeno dalla Costituzione. L’articolo 66 parla infatti solo di ineleggibilità e di incompatibilità, affidando alle Camere la loro verifica all’indomani del voto. Purtroppo durante la discussione del testo questo dettaglio cruciale sfuggì a tutti. Capita, quando si guarda al diritto non per princìpi ma per occasionalità».
Berlusconi ha però deciso di ritornare alle origini.
«Di quel partito – che diffondeva ottimismo, difendeva l’impresa e si batteva per creare ricchezza – la nuova Forza Italia recupera solo il marchio. Quella di adesso si limita a compitare l’Imu, ha dimenticato l’ambizione di essere il punto di riferimento dei ceti produttivi e adesso difende indiscriminatamente anche gli interessi dell’apparato pubblico. Oggi un centrodestra liberale o thatcheriano chiederebbe di tagliar via il grasso dallo Stato. E invece le 13 proposte di copertura finanziaria avanzate da Brunetta per il mancato aumento dell’Iva per una metà erano tasse e per l’altra metà ipotesi di cartolarizzazione (cioè anticipi di future entrate). Il partito ha peraltro smesso di parlare di riforme istituzionali ed è conservatore persino sulla legge elettorale. Posso aggiungere un’ultima cosa?».
Dica.
«Se un giorno la sinistra vorrà dedicare un monumento ai due principali affossatori di Berlusconi non dovrà scegliere qualcuno dei suoi ma Giulio Tremonti per la dissennata politica economica e Nicolò Ghedini per la giustizia».