Corsa a sindaco di New York, il candidato Mamdani ha fatto ciò che in Italia si ritiene impossibile

Zohran Mamdani batte Cuomo alle primarie con un programma socialista. Affitti congelati, bus gratis, Palestina al centro

Corsa a sindaco di New York, il candidato Mamdani ha fatto ciò che in Italia si ritiene impossibile

Ieri alle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York, ha vinto Zohran Kwame Mamdani. Trentatré anni, nato a Kampala, musulmano, socialista democratico, membro dell’Assemblea statale e sostenuto dai Democratic Socialists of America. Ha sconfitto Andrew Cuomo, ex governatore, figura simbolo dell’establishment centrista, sostenuto da Clinton e Bloomberg. Ha vinto con il 43,5% dei voti nel sistema a scelta istantanea. Nessuna scorciatoia mediatica, nessun compromesso politico, nessun finanziamento dalle grandi corporation.

È stata una vittoria costruita da zero, con migliaia di volontari, mobilitazione capillare, organizzazione locale e una campagna interamente centrata sulla crisi materiale: “New York è troppo cara”, ha ripetuto ossessivamente. Lo scenario politico era segnato dalla fine traumatica del mandato di Eric Adams, dalla candidatura divisiva di Cuomo, dalla frammentazione della sinistra. In questo contesto, Mamdani è passato da outsider a candidato vincente. Il suo nome diventa ora il test nazionale per misurare la forza di un nuovo campo progressista.

Un programma radicale, costruito sui numeri

Il suo programma si intitola “New York per i Molti, Non per i Pochi”. Non contiene slogan generici, ma un’agenda dettagliata con coperture, target quantitativi, cronoprogrammi. Congelamento degli affitti per oltre 2 milioni di inquilini. Costruzione di 200.000 alloggi popolari in 10 anni, tramite un’Agenzia per l’edilizia sociale. Autobus urbani gratuiti, già sperimentati su 5 linee, da estendere in tutta la città. Asili nido pubblici e gratuiti, salari equiparati a quelli degli insegnanti. Supermercati municipali, per calmierare i prezzi alimentari e ridurre la dipendenza dai privati. Aumento della tassa sulle società all’11,5%. Tassa del 2% su redditi superiori al milione di dollari. Salario minimo cittadino a 30 dollari l’ora entro il 2030.

Centrale anche la proposta di un Dipartimento per la Sicurezza Comunitaria, alternativo al modello poliziesco tradizionale: operatori sociali, interventi di prevenzione, ambulatori psicologici, fondi per contrastare i crimini d’odio. Non è un programma simbolico, è una proposta di governo metropolitana con solide basi contabili.

La questione palestinese non è stata un incidente

Durante la campagna, Mamdani ha sostenuto pubblicamente la causa palestinese. Ha partecipato a manifestazioni, è stato arrestato nel 2023 durante una protesta per il cessate il fuoco, ha usato in pubblico lo slogan “Globalize the Intifada”, ha rifiutato di firmare la risoluzione per celebrare la fondazione di Israele, ha presentato il disegno di legge “Not On Our Dime!” contro il finanziamento pubblico alle violenze dei coloni israeliani. Tutto questo ha attirato attacchi da AIPAC, da esponenti democratici moderati e da parte dell’establishment ebraico newyorkese. Non ha ritrattato. Non ha smussato. Ha mantenuto la sua posizione anche nelle fasi più delicate della campagna.

Il risultato è stato un aumento del consenso nelle fasce under-40, tra elettorato musulmano e nei distretti a forte composizione migrante. È la prima volta che un candidato esplicitamente filo-palestinese vince una primaria in una delle città con la più grande popolazione ebraica al mondo. Il fatto politico è rilevante. Perché dimostra che è possibile sfidare apertamente il campo moderato su un tema ritenuto tabù. E vincere.

Il metodo: organizzare, non inseguire

La campagna non ha cercato di rincorrere il centro. Ha fatto l’opposto. Ha costruito un’agenda coerente, ha polarizzato il campo, ha usato la mobilitazione porta a porta, i social media, il relational organizing. Ha stretto alleanze con altri candidati progressisti, sfruttando con intelligenza il sistema di voto a scelta istantanea. Il sorpasso su Cuomo è arrivato al secondo conteggio. La vittoria è stata anche tattica.

L’organizzazione non è stata un accessorio della proposta politica, è stata parte integrante. La struttura di campagna era la stessa che, negli anni precedenti, aveva organizzato mutualismo durante la pandemia, presidi nei quartieri, sostegno agli sfrattati. Non una lista elettorale, ma un’infrastruttura militante, che ora si candida a diventare forza di governo.

La lezione per la sinistra italiana

Il caso Mamdani impone una riflessione immediata. Non è un modello da importare, ma un laboratorio che sollecita alcune domande essenziali. Primo: perché in Italia le sinistre continuano a separare ideologia e materialità, come se parlare di Palestina impedisse di parlare di affitti? Secondo: perché ci si ostina a difendere la cautela e il linguaggio del compromesso, mentre altrove il conflitto sociale è strumento di egemonia? Terzo: perché si costruiscono ancora campagne elettorali verticali, senza base territoriale, senza linguaggi nuovi, senza una cultura organizzativa?

Mamdani ha dimostrato che una proposta radicale può vincere. Che parlare di giustizia sociale, redistribuzione, sicurezza non repressiva e diritti internazionali non solo non è un ostacolo, ma può essere il centro di una proposta credibile. La sua vittoria, a New York, è anche una sconfitta per chi – da questa parte dell’oceano – ha costruito una sinistra senza popolo e senza conflitto.