Cosa farebbe Carlo Verdone, se fosse sindaco di Roma

di Lidia Lombardi

“Un buon sindaco di Roma? Chi metterà a posto non tanto il centro, ma le periferie. Quelle sono il vero cancro della città”.
Carlo Verdone tira fuori una strana voce stentorea quando La Notizia lo sollecita sulle urne appena chiuse per la scelta del nuovo uomo del Campidoglio. Sono da poco finiti di scorrere sullo schermo i titoli di coda di “Carlo!”, il docu-film su di lui che allo scorso Festival del Cinema di Roma è stata la pellicola più applaudita. E nel collage di interviste a Verdone e ai suoi attori, di super 8 inediti, di backstage, c’è anche, tra gli spezzoni delle sue pellicole cult, uno da Il gallo cedrone. Nel quale, sullo sfondo del Gianicolo, Verdone, alias il candidato sindaco Armando Feroci, promette in un comizio che cementificherà il Tevere, trasformandolo in un’arteria a tre corsie, così via caos da traffico e inquinamento.

Ma insomma, Verdone, come mai un romano su due non è andato al seggio?
“Perché sono stanchi di mettere la scheda nell’urna e vedere poi che non cambia nulla. La grande coalizione, l’unico governo che si potesse fare, ha tolto a molti lo slancio di votare. Questo è un esecutivo d’emergenza. Debolino, anche se di brave persone. Basta che succeda qualcosa a chi sappiamo e si rompe. Così il cittadino ogni giorno si chiede se l’Italia è saltata o no. C’è chi dice che il Paese va, ma i fatti? Non parte nulla. I giovani devono andare a trovare lavoro all’estero. Padova e Bologna, una volta tra le prime università del mondo, ora sono al trecentesimo posto. Superate da quelle dei Paesi Arabi”.

Quando si è rotto l’ingranaggio?
“Credo che a far crollare tutto siano stati i cattivi esempi del Palazzo. Perché sì, siamo un popolo di furbi, ma sappiamo poi metterci in riga. Invece se non dai regole, gli italiani si sbracano. E poi, è un Paese unito questo? No, tutto va per conto suo, sembriamo divisi in tre-quattro contee. Mancano figure autorevoli, che insegnino come ci si comporta. Il punto è questo: la politica va fatta da persone che diano anche il buon esempio nello stile di vita. Cesare deve vivere, diceva Seneca, come se le pareti della sua casa non ci fossero. Sì, sono moralista e sono contento di esserlo. Perché se non c’è etica succede che uno si apposta a Palazzo Chigi per sparare ai ministri o un altro brucia viva la fidanzatina”.

E nel cinema che cosa non va? Perché non tornano i fasti della commedia all’italiana?
“Perché è vuoto di caratteristi. Nessuno vuole più esserlo e invece la commedia era fatta dai Carotenuto, dai Tiberio Murgia, dai Leopolo Trieste, dai Saro Urzì, dalle Tina Pica. Germi lo aveva capito. Invece adesso tutti sgomitano per fare il protagonista. Manca l’umiltà. Se si accontentassero di recitare nei ruoli adatti, quelli di contorno che però sono la sostanza indimenticabile delle pellicole che mi hanno formato, lavorerebbero sempre. Invece no, e in questo siamo provinciali. Il guaio è che non ci sono più neanche gli agenti bravi, quelli che indirizzano e insegnano il mestiere”.

Ma non è che è cambiato anche il gusto del pubblico?
“Sì, ed è colpa della tv perché ha dato la possibilità a tutti di diventare protagonisti per una stagione sola. Sono i divi dell’Isola dei Famosi, del Grande Fratello. Ma state attenti, sono come i fuochi d’artificio che fanno bum e poi scendono subito. La tv non è la vita, e infatti per i miei film non mi ispirano i tipi del piccolo schermo”.

E chi la ispira invece?
“La gente che incontro per strada, quelli del mio quartiere. E’ vero, è sempre più difficile, perché tutto è livellato. Però non smetto di guardare le persone, come mi ha insegnato mia madre. Così ogni giorno ho il mio rito: visita al bar, all’edicolante, alla farmacia. Quante cose si capiscono ascoltando nel separè quelli che si misurano la pressione. Quante cavolate dicono, e pure il farmacista, ché certe volte me viene da dije io quale medicina deve consigliare. E il macellaio? M’ha detto a proposito di La grande bellezza di Sorrentino: Ma ‘sti salotti esistono davvero? E io ho tirato fuori il Galaxy e glieli ho fatti vedere. Non sono un nottambulo, ma ogni tanto ci devo andare, alle feste, per capire da chi sono popolate, chi è il proprietario di otto Ferrari nel locale in via Casilina”.

A proposito de La grande bellezza, perché non ha vinto nulla a Cannes?
“I festival sono un gioco. Magari la giuria è d’accordo per premiare un certo film, poi l’ultimo giorno ne proiettano uno che scompiglia tutti gli equilibri. Mi è successo al Festival di Venezia, in giuria con David Lynch e la Thurman. Però Toni Servillo meritava un premio. Comunque il film va bene, ha incassato 2 milioni e 300 mila euro ed è tanto per un’opera difficile”.

Ma lei torna a girare da regista?
“Tranquilli, non abbandono la commedia, ho pronti cinque soggetti per de Laurentiis. È una storia sulla fragilità, per la protagonista penso alla Cortellesi, ma ancora niente di concreto. Però non mi dispiacerà fare altre incursioni in ruoli drammatici. L’età giusta ce l’ho”.

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