La Sveglia

Così la ‘ndrangheta avallò le stragi mafiose

L'inchiesta Hybris conferma la tesi che 'Ndrangheta e Cosa nostra operano insieme come “Cosa unica” fin dai tempi delle stragi.

Così la ‘ndrangheta avallò le stragi mafiose

La notizia è grossa e forse può concorrere a scrivere una delle fasi più oscure del nostro Paese. Non solo perché ieri con l’inchiesta Hybris sono finiti in manette boss e luogotenenti delle cosche di ‘Ndrangheta Piromalli e Molé (49 persone in tutto: 34 in carcere e 15 ai domiciliari oltre al sequestro di beni per circa un milione di euro), ma anche perché gli atti di indagine confermano la tesi che ‘Ndrangheta e Cosa nostra operano insieme come “Cosa unica” fin dai tempi delle stragi, in un sistema criminale integrato che decise l’attacco frontale contro lo Stato.

L’inchiesta Hybris conferma la tesi che ‘Ndrangheta e Cosa nostra operano insieme come “Cosa unica” fin dai tempi delle stragi

Scrivono i magistrati: “Pesce, in proprio ed in nome e per conto di Piromalli, aveva votato a favore della partecipazione alle stragi anche da parte della ‘ndrangheta”. Il boss di Limbadi Luigi Mancuso, invece, “avrebbe votato contro” le stragi che “erano dirette all’eliminazione del regime di carcere duro”. E ancora: “Si progettava di arrivare ad assassinare un ministro e fare un colpo di Stato”.

Se le indagini dei carabinieri hanno stroncato la cosca Piromalli fotografando non solo gli affari illeciti del clan ma anche la pace con i recenti nemici Molé, è senza dubbio l’intercettazione del “navigato esponente della ‘ndrangheta” Francesco Adornato ad aprire uno squarcio sulla stagione stragista. Adornato non è indagato nell’inchiesta Hybris, ma le sue parole hanno conquistato il titolo di un capitolo dell’ordinanza di custodia cautelare dove, nero su bianco, il gip riassume la sua conversazione con Giuseppe Ferraro (arrestato ieri) e scrive che il boss Pino Piromalli detto Facciazza “aveva composto la ‘commissione’ costituitasi per decidere se la ndrangheta calabrese avrebbe dovuto partecipare o meno alle stragi di Stato attuate dalla mafia siciliana”.

È lo stesso punto sui cui sta lavorando da tempo il procuratore aggiunto di Reggio Calabri a, Giuseppe Lombardo, nel processo “Ndrangheta stagista” che, in primo grado, si è concluso con la condanna del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e di Rocco Santo Filippone, espressione dei Piromalli. In quel processo si racconta come fu il cognato di Riina, Leoluca Bagarella, a indicare Giuseppe Graviano come responsabile dei rapporti con le cosche calabresi (“con i calabresi te la vedi tu”, disse Bagarella).

Secondo il racconto di Adornato intercettato, ora sappiamo che “la ‘commissione’ (al quale consesso però Pino Piromalli non aveva personalmente partecipato in quanto aveva delegato in sua vece Antonino Pesce detto Nino u Testuni) aveva deciso di ‘avallare’ le stragi di Stato, condividendo la politica del terrore e stragista proposta dalla mafia siciliana.

Tra i soggetti raggiunti dall’ordinanza figurano nomi importanti come Girolamo Piromalli detto Mommino (ritenuto la figura apicale del clan), Salvatore Copelli, Aurelio Messineo, Francesco Cordì, Rocco Delfino detto U Rizzu, Arcangelo Piromalli, Cosimo Romagnosi e Antonio Zito detto u Palisi, ma anche Antonio Molé detto u Jancu, considerato il reggente della consorteria, e per Ernesto Madaffari alias u Capretta.

Agli arresti domiciliari con l’accusa di estorsione sono finiti anche Maria Martino e Grazia Piromalli, rispettivamente moglie e figlia del boss Pino Facciazza, oltre a un finanziere, Salvatore Tosto, che avrebbe rivelato alcune indagini in corso e l’esistenza di un’indagine a suo carico e don Giovanni Madafferi, parroco di Castellace, per certificati falsi. Non sono bande, non è un semplice sistema criminale, siamo di fronte a un sistema di potere, una rete che gestisce in modo univoco determinate operazioni, anche finanziarie. Di questo dovremmo preoccuparci piuttosto che romanticizzare i boss.