Così l’Europa ci prende a sberle

di Carmine Gazzanni

Dall’Ilva di Taranto alla discarica di Malagrotta, passando per le galline ovaiole e il numero dei giocatori di pallanuoto. Tra le procedure di infrazione aperte dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia c’è di tutto. Ed è record. Secondo l’ultimo rapporto di fine anno il nostro Paese detiene il maggior numero di procedure aperte. E allora erano “solo” 104. Dopo l’ultimo aggiornamento del 23 e 24 gennaio sono salite a 119 dato che, a fronte di due archiviazioni, la Commissione ha deciso di aprirne 17 nuove di zecca. Totale, come detto, 119 procedure, di cui 81 riguardanti casi di violazione del diritto dell’Unione e 38 il mancato recepimento di direttive. E il rischio, ora, è che la negligenza delle istituzioni venga pagata a caro prezzo dai contribuenti.

Il rischio
Non è un caso, d’altronde, che lo stesso ministro per gli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi abbia usato toni allarmanti. “Il più delle volte – si legge ad esempio nella sua relazione di inizio anno – non recepiamo oppure violiamo normative e precetti che noi stessi abbiamo approvato nelle sedi dell’Unione […] Ne discende un’oggettiva immagine contraddittoria e/o inefficiente del ‘sistema Paese’, con inevitabili conseguenze molto negative sulla nostra capacità di influire politicamente nei processi decisionali e d’indirizzo dell’Unione”. Ma il discorso è anche un altro: nel caso in cui non si giunga a porre rimedio alle procedure d’infrazione aperte, a pagare il conto saranno i cittadini: “sotto il profilo della risoluzione delle procedure d’infrazione va dedicata attenzione particolare alle procedure giunte ad un livello avanzato ovvero allo stadio di deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Ue. A valle di quest’ultima fase, è imperativo eseguire la sentenza di condanna”. Si tratta (alla data del 31 dicembre 2013) di 18 procedure d’infrazione che espongono l’Italia al rischio concreto di sanzioni pecuniarie. Ma, in soldoni, di quanto stiamo parlando? Certamente non di briciole. Alla somma forfettaria, che per l’Italia ammonta a 8 milioni 863 mila euro (e che si paga anche nel caso in cui il recepimento venga effettuato nel corso del dibattimento), si aggiunge, in caso di condanna definitiva, una penalità di mora che oscilla invece da 10.700 a 642.048 euro al giorno. Tutto dipende dalla gravità e dalla persistenza della violazione. E, anche in questo caso, non c’è affatto da star tranquilli dato che alcune pesanti violazioni sono contestate da anni. Tra le procedure arrivate a sentenza (e quindi a rischio condanna), ad esempio, c’è quella sull’emergenza rifiuti in Campania (procedura aperta nel 2007) oppure quella sulla non corretta trasposizione della direttiva riguardante la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro (aperta addirittura nel 2006). Il calcolo è semplice: contando soltanto la somma forfettaria, l’Italia si troverebbe esposta a multe che complessivamente potrebbero costare alle casse quasi 160 milioni di euro.

La cattiva gestione
Solo per questioni ambientali sono 22 le infrazioni contestate; seguono le 17 procedure in materia di trasporti e le 14 riguardanti “fiscalità e dogane”. Via via tutte le altre. Tra queste non mancano questioni che per lungo tempo sono state al centro di feroci dibattiti politici: un lungo elenco di furberie e normative rivelatrici della mala amministrazione di cui, spesso, le istituzioni nostrane sono state responsabili.
Oltre ai casi già citati dell’Ilva, di Malagrotta e dell’emergenza rifiuti in Campania, ad esempio, spiccano la legge Gasparri, il “mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese che investono in municipalità colpite da disastri naturali” (meglio nota come “Tremonti bis”), l’affidamento dei servizi di intercettazione telefonica, il mancato recepimento della direttiva riguardante la sicurezza sul lavoro, la violazione della norma europea riguardante la responsabilità civile dei magistrati o, ancora, quella relativa al lavoro a tempo determinato del personale della scuola pubbica.

Galline e succhi di frutta
Non mancano, però, anche casi bislacchi. L’Europa, ad esempio, ci contesta dal 2008 gli “ostacoli alla commercializzazione dei camini o dei condotti in plastica”, le condizioni minime per la protezione delle galline ovaiole, le norme sugli ascensori, quelle sugli imballaggi e sui succhi di frutta. Eloquente anche la procedura relativa alla “limitazione da parte della Federazione Italiana Nuoto del numero di giocatori di pallanuoto cittadini dell’Ue”. Insomma tra le procedure c’è di tutto. E molte di queste sono aperte da anni. Ma il record spetta a quella riguardante la “inadeguatezza del sistema di controllo dell’esercizio della pesca”. Era il 1992. Piena Prima Repubblica.