cco a che serve un paniere. La notizia dell’aggiornamento dei prodotti sui quali si basa la rilevazione dei prezzi da parte dell’Istat, diffusa martedì scorso, ha concentrato l’attenzione generale sui beni merceologici ritenuti non più significativi per il calcolo dell’inflazione, per far posto ad altri oggetti e servizi. Tutti a ragionare, dunque, sull’opportunità di far fuori il glorioso dvd per inserire – ad esempio – i cibi per celiaci, il car sharing e la birra analcolica. il cambiamento, presentato come un normale adeguamento alle nuove abitudini di consumo delle famiglie, ha però una funzione delicatissima della quale pochi si sono accorti. Se si va a definire il costo della vita togliendo dal paniere prodotti che oggi vengono venduti a poco prezzo, con sconti considerevoli, per inserire altri beni che invece hanno una produzione limitata e soprattutto sono destinati a categorie crescenti (come nel caso dei consumatori di cibi senza glutine, per via dell’incremento delle intolleranze alimentari) il risultato è che si predefinisce un rialzo dell’inflazione. Esattamente quello che si attende di sentire la Commissione europea, la Banca centrale e i sacerdoti del rigore, che non aspettano altro per comunicarci che la crisi in Europa è finita, il rischio deflazione non c’è più e dunque presto si potrà tornare a ridurre gli aiuti monetari appena accordati. Uno scenario pericoloso, che però fa capire come sia possibile dirigere l’economia anche solo utilizzando le bevande al distributore automatico, il caffè al ginseng al bar e l’assistenza fiscale sulle imposte della casa, da oggi inserite nel paniere Istat al posto dei più a buon mercato navigatori satellitare e impianto hi fi.
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