Così si è arenato il Pnrr. Quaranta i progetti fermi al palo

Dopo i disastri dei Migliori ora il Governo Meloni non sa come ultimare oltre 40 progetti del Pnrr.

Così si è arenato il Pnrr. Quaranta i progetti fermi al palo

Qualcuno salvi il Pnrr. Sembra proprio che l’incubo di veder sfumare parte dei fondi europei per la ripartenza post-Covid non sia poi così remoto come si potrebbe pensare. Si tratta di un’eventualità da scongiurare ad ogni costo e che dipende da una serie di ritardi che si sono accumulati nel tempo, specie negli ultimi mesi, tanto che si parla di quaranta scadenze da raggiungere entro fine mese.

Il 31 dicembre si chiude il quarto trimestre 2022 e con esso il termine per completare le scadenze previste dal Pnrr

Come riporta Openpolis “il 31 dicembre infatti si chiude il quarto trimestre del 2022 e con esso il termine per completare le scadenze europee previste dal Pnrr” che “non sono solo quelle “indicate per il periodo che va da ottobre a dicembre, il quarto trimestre appunto, ma anche per i tre mesi precedenti tra giugno e agosto, cioè il terzo trimestre 2022”.

Saltare questa rigorosa deadline comporta l’impossibilità di chiedere all’Unione europea una nuova tranche di fondi. Insomma una bella gatta da pelare, per giunta molto ma molto in fretta, con due scadenze che riguardano il terzo trimestre – quindi molto in ritardo – e altre 38 che fanno riferimento al quarto trimestre. Possono sembrare dati campati in aria ma secondo l’analisi di Openpolis la situazione è davvero preoccupante. Questo perché di 38 scadenze del quarto trimestre “15 sono a buon punto, quindi a un passo dal completamento, ma ben 23 risultano ancora in corso, cioè sono interventi avviati ma lontani dalla loro realizzazione”.

Analizzando i dati si scopre che i maggiori ritardi riguardano il Dipartimento per la trasformazione digitale che nel governo dei migliori era guidato da Roberto Colao (nella foto) mentre ora è retto dal sottosegretario Alessio Butti, con otto progetti che richiedono ancora molto lavoro, seguito a ruota dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, il quale vanta ancora 5 progetti da ultimare, al cui vertice c’era Roberto Cingolani mentre ora è passato di mano a Gilberto Pichetto Fratin.

Difficile definire le responsabilità di questi ritardi ma certo la situazione appare ben diversa di quella che ci veniva raccontata dall’allora premier Mario Draghi che, salutando Palazzo Chigi, negava problemi e si diceva certo che il nuovo governo avrebbe avuto la strada in discesa. Eppure le cose non sembrano andate così e, come sempre avviene in Italia, si è passati dagli ammiccamenti reciproci allo scaricabarile.

La situazione più delicata è quella che ha portato allo scontro tra Butti e Colao, con il primo che rinfaccia al secondo di aver trovato una situazione “a dir poco imbarazzante” tra progetti non realistici, come quello sulla copertura della banda ultralarga nelle zone a fallimento di mercato, e ritardi incolmabili nella copertura della nuova rete 5G e in quella delle aree grigie dove sarebbe dovuto essere attivo almeno un fornitore di servizi internet ad alta velocità.

Insomma un attacco frontale a Colao che, però, sembra ingeneroso. Già perché a smentire Butti ci ha pensato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, commentando l’arrivo di 21 miliardi di euro da Bruxelles proprio grazie ai progetti ultimati su banda larga e 5G, ha esultato: “È la dimostrazione concreta che abbiamo fatto tutti i passaggi necessari e che continueremo a vigilare con la stessa determinazione”.

Che questi fondi, arrivati in Italia il 9 novembre smentiscano Butti, lo si capisce da quanto pubblicato sul sito del Mef secondo cui “i 45 traguardi e obiettivi di cui è stato riconosciuto il conseguimento” riguardano, tra gli altri, anche “la banda ultralarga e il 5G”. Ma c’è di più. Butti e l’esecutivo Meloni sul progetto per la creazione della rete unica, un’infrastruttura vitale, ha bocciato il progetto di Draghi & Co ma, almeno per quanto si apprende, senza avere un’idea chiara per un’eventuale strategia alternativa.

E non va meglio al ministro dell’Ambiente dove Cingolani, il quale al momento collabora col governo in qualità di consulente a titolo gratuito, ha ceduto il posto a Pichetto Fratin senza risolvere le criticità già emerse. I co-portavoce di Europa Verde e deputati di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, hanno tuonato: “L’intervento del ministro Pichetto Fratin durante l’audizione in Commissione Ambiente a Palazzo Madama è un atto ostile nei confronti del clima. Con le sue dichiarazioni programmatiche, gli obiettivi climatici non verranno raggiunti se non con 30 anni di ritardo, compromettendo l’ambiente e con costi economici e sociali elevatissimi”.

Difficile dar loro torto visto che il ministro che dovrebbe puntare sul Green, proprio come il suo predecessore, ha già fatto un endorsement per il nucleare. Per non parlare dei tanti scivoloni comunicativi, non ultimo quello contro i sindaci di Ischia che ha spinto perfino Matteo Salvini a criticarlo, che non sembrano preannunciare nulla di buono.

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