Costi disumani. Più di un miliardo e mezzo per fermare i clandestini

di Andrea Koveos

uanto costa allo Stato italiano contrastare l’immigrazione irregolare? Un miliardo e seicento milioni di euro. Le principali voci di spesa sono tre: la detenzione degli immigrati nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), il controllo dei mari e delle frontiere, lo sviluppo della cooperazione con i paesi terzi per fermare i clandestini. Un miliardo e seicento milioni di euro, dunque, stanziati dall’Italia dal 2005 al 2012 per finanziare inutilmente le politiche di contrasto all’immigrazione irregolare (dati dell’associazione Lunaria) D’altronde il fallimento legislativo italiano su questa materia parte da lontano, a cominciare dalla Bossi Fini per passare alla legge 94 del 15 luglio 2009, il cosiddetto pacchetto sicurezza. Norme che la ministro, Cecile Kyenge, ha già chiesto di cancellare. Intanto però, per il 2013, nonostante la Spending Review le uscite non sembrano ridursi.

I Centri di accoglienza

Il governo, infatti, ha confermato le dotazioni economiche per sostenere i Cie: 236 milioni di euro per il 2013, 220 milioni di euro per il 2014 e 178 milioni di euro per il 2015 (tra spese di parte corrente e investimenti). Rispetto alle previsioni assestate del 2012 per i Cie è stato previsto per il 2013 una somma aggiuntivo di 66 milioni di euro. I risultati ottenuti dai Cie, sulla scorta dei dati diffusi dalla Polizia di Stato sono scarsi. Milioni di euro gettati alla ortiche, considerando l’inefficacia di queste strutture nella lotta all’immigrazione clandestina.
Un altro costo che non ha subito la scure del Governo tecnico, ma anzi è stato incrementato, è il capitolo riservato all’esecuzione dei rimpatri (noleggio mezzi e personale di polizia che esegue l’accompagnamento). Secondo il Ministero dell’Interno sono previsti quasi 4 milioni di euro. Ma i dati ufficiali più completi, però, rientrano nel programma pluriennale di gestione del Fondo Europeo per i rimpatri. Per gli anni 2008-2013 sono stati assegnati all’Italia dall’Europa 71 milioni e 63mila euro. Nel documento di programmazione pluriennale il cofinanziamento dichiarato dallo Stato è pari a 40 milioni di euro; per il 2013 sono messi in preventivo come quota di cofinanziamento italiano di quasi 10 milioni di euro.

Controllo delle frontiere
Poi ci sono le risorse destinate al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne che vengono coperte anche grazia alla partecipazione di altri Paesi. Il nostro Paese ha previsto per gli anni 2007-2013 212 milioni di euro. E’ bene ricordare che solo negli ultimi anni alcuni rapporti della Corte dei conti e alcuni studi realizzati da Ong e istituti di ricerca hanno consentito di acquisire dati e informazioni che con tutta probabilità sono considerate sottostimate.
Eppure le spese certificate non sono certo finite. Una fetta rilevante se la mangia il cofinanziamento da parte italiana al controllo delle frontiere: 195 milioni di euro. Qui capitolo a parte merita “Frontex” il sistema europeo di coordinamento delle politiche repressive dei governi europei, una sorta di braccio armato dell’Ue per il contrasto dei clandestini.
Il budget di Frontex, a cui hanno partecipato diversi Paesi europei, è passato dai 6 milioni di euro del 2005 agli 86 milioni nel 2011. Dal 2007 al 2013, Frontex ha ricevuto un finanziamento di 285 milioni di euro.

Le entrate
Ma lo stato italiano con i contributi degli immigrati riesce, seppur in maniera minima a contenere le spese. Sono circa 135 i milioni di euro entrati nelle casse dello stato solo grazie alla presentazione delle domande di regolarizzazione (1.000 euro a domanda), senza contare quelli pagheranno i contributi pregressi richiesti ai datori di lavoro (secondo le stime dei sindacati tra i 2.000 e i 6.000 euro a dipendente a seconda della tipologia di contratto). E l’amministrazione statale avrebbe potuto incassare molto di più. Per moltio, infati, il processo di regolarizzazione è stato un flop. Alti costi da pagare, la prova documentale di essere stati presenti in Italia fin da prima del 31 dicembre 2011, l’alto reddito da dimostrare per chi faceva la richiesta e il rischio di espulsione per l’immigrato nel caso la procedura non si fosse conclusa positivamente, hanno determinato un numero enorme di domande inevase. Da un’analisi dei dati del Viminale il 90% dei rigetti è stato causato dall’impossibilità per l’immigrato irregolare di esibire la prova documentale di essere stato presente in Italia prima del 31 dicembre 2011. Al di là degli evidenti intoppi di questa vera e propria sanatoria c’è da chiedersi come poi verranno riutilizzate i soldi sborsati dagli stranieri su cui si è sviluppata un’ampia letteratura. In pochi credono, tuttavia, che questi risorse saranno impiegate per politiche di inclusione sociale.

Business miliardario. La criminalità fa soldi col sommerso

Mafia in Sicilia, Camorra in Campania, ‘Ndrangheta in Calabria, caporalato in Puglia. Per la malavita organizzata l’immigrazione è un business da centinaia di milioni di euro. Basta guardare i dati del sommerso per avere un’idea di quanti soldi muova il lavoro dei clandestini. Guadagni stellari che fanno gola anche al centro Nord dei proprietari terrieri, delle multinazionali della frutta e della verdura ma anche della distribuzione, delle imprese della logistica – in Emilia Romagna e in Lombardia – e dell’edilizia.
La lunga mano della criminalità fa leva su alcuni ambiti della produzione, soprattutto quelli che provvedono al fabbisogno primario di milioni di persone, come avviene per il settore agricolo. Per questo le organizzazioni mafiose hanno fortissimi interessi nell’investire e gestire una grande quantità di manodopera a basso costo.  Dal rapporto sull’economia sommersa 2012 realizzato dall’Eurispes e dall’Istituto San Pio V di Roma il valore del lavoro nero degli immigrati in Italia è quantificabile in 22 miliardi di euro, una cifra quasi equamente distribuita tra lavoratori con permesso di soggiorno e senza alcun contratto (12 miliardi di euro) e lavoratori irregolari anche ai fini della presenza in Italia (10,5 miliardi).
D’altronde per poter restare in Italia occorre prima di tutto lavorare. La malavita lo sa bene e possiede in tutta Italia agenzie di collocamento parallele per ogni tipo di attività, meglio se massacrante. Gli operai della disperazione, pur di rimanere in Italia sono pronti a tutti: possono patire le pene dell’inferno per una paga che parte da 20 euro al giorno. Pochi spiccioli e per dormire niente tende né gabinetti e di affittare una casa nemmeno a pensarlo a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
Essere reclutati come operai non è poi così facile. Occorre pregare e pagare (gli intermediari percepiscono buona parte della paga giornaliera) il capo bastone di turno. Per lavorare una seconda volta, però, occorre tenere la bocca chiusa: non è ammessa nessuna lamentela, tantomeno protesta.
Se si reclama per i ritmi o per la paga, si viene immediatamente espulsi. Sul serio. Nel Cosentino ci vogliono due mesi per raccogliere due milioni di quintali di agrumi. I braccianti dell`Est sono reclutati dai caporali e dalle agenzie interinali illegali che garantiscono alle aziende raccolte a costo zero.
Ultimamente gli immigrati si stanno organizzando e provano ad alzare la voce contro la criminalità organizzata che li schiavizza. Basta ricordare le ultime rivolte, alcune delle quali sono passate sotto silenzio come quella dei braccianti africani a Castel Volturno, a Padova, a Roma, senza considerare le manifestazioni nei centri di accoglienza in tutta Italia, Modena, Torino, Pisa, Cagliari.
Eppure le cose stanno cambiando anche per gli italiani e la condizione degli africani di Rosarno è spesso la condizione di molta parte dei lavoratori italiani. L’ emergenza è quotidiana. Lo sfruttamento è senza limiti, perché per gli sfruttatori non ha mai contato il colore della pelle ma il peso dei soldi.
Il numero complessivo degli immigrati regolari, inclusi i comunitari e quelli non ancora iscritti in anagrafe, ha superato i 5 milioni di persone alla fine del 2011.
Attualmente gli occupati stranieri, incluse anche le categorie non monitorate dall’indagine campionaria dell’Istat, sono circa 2,5 milioni e rappresentano un decimo dell’occupazione totale.
Gli immigrati sono concentrati nelle fasce più basse del mercato del lavoro e, ad esempio, mentre tra gli italiani gli operai sono il 40%, la quota sale all’83% tra gli immigrati comunitari e al 90% tra quelli non comunitari. I collaboratori familiari (poco più di 750mila quelli nati all’estero assicurati presso l’Inps) rappresentano la categoria più numerosa tra gli immigrati e costituiscono una risorsa preziosa per un Paese in cui ogni anno 90mila persone in più diventano non autosufficienti.