Il Covid si è portato via la politica urlata. Da Biden a Scholz, sino a Letta e Conte. Oggi vince chi fa ragionare le piazze

La pandemia forse non ci ha reso migliori - come ripetevamo all’inizio della stagione del Covid - ma certamente ci ha spinto ad essere più cauti.

Il Covid si è portato via la politica urlata. Da Biden a Scholz, sino a Letta e Conte. Oggi vince chi fa ragionare le piazze

La pandemia forse non ci ha reso migliori – come ripetevamo all’inizio della stagione del Covid per rassicurarci l’un l’altro – ma certamente ci ha spinto ad essere più cauti. E dunque meno disponibili ad essere sedotti dal politico di turno che urla più forte, meno pronti ad andar dietro all’arruffapopolo che la spara grossa e promette di aggiustare tutto.

Sarà che il nostro mondo ha rischiato di essere rovesciato sul serio da diciotto mesi di questo morbo devastante, sarà che in un mare di urla le parole perdono senso e significato, ma la verità è che la graduale uscita dal Covid si accompagna all’affermazione di leadership politiche pacate e rassicuranti. Leadership che a volte sanno di antico, per non dire di vecchio, se si guarda al look che scelgono prima ancora che alle proposte che avanzano. Ma sono leadership pacate e forse antiche che hanno il potere di trasmettere una promessa di pacificazione a chi è ancora scosso da una stagione traumatizzante, com’è stata la stagione del Covid.

UN TREND GLOBLALE. Questa è una tendenza che ha preso avvio negli Stati Uniti, dove al solito si sperimentano simboli e linee di sviluppo destinate poi a diffondersi in tutto l’Occidente. Dopo la rumorosa ubriacatura del trumpismo, l’affermazione di Joe Biden è venuta anche grazie al profilo dimesso di un vecchio signore che parla piano, twitta poco, ragiona molto e rassicura tutti. Pochi mesi dopo è stato il turno della Germania, una nazione che dopo la catastrofe nazionale del nazismo non ha mai avuto grandi simpatie per i maestri di demagogia: qui la chiave vincente per Olaf Scholz è stato il suo impegno a proseguire sul lungo percorso di Angela Merkel (a partire dal fortunato slogan elettorale scelto dal candidato socialdemocratico: “Anch’io posso essere una Cancelliera!”), accompagnato da proposte largamente in continuità con i sedici anni di governo CDU e da un profilo personale privo di effetti speciali e fuochi d’artificio.

E ANCHE IN ITALIA… Ora sarebbe forse semplicistico trasferire questa tendenza dalle nostre parti e leggere con la stessa lente i risultati delle elezioni amministrative, certamente condizionati dall’alto astensionismo e dalla difficoltà della destra ad individuare candidati credibili per le grandi città. Ma che anche l’Italia sia dentro questo flusso di opinioni e percezioni è molto probabile, essendo noi un grande Paese occidentale che vive le stesse tendenze che attraversano questa parte del mondo.

Così il voto ha premiato i toni decisi ma tranquilli di Enrico Letta, e abbiamo visto grandi piazze riempite da Giuseppe Conte, altrettanto determinato quanto pacato nell’esporre le sue posizioni politiche, senza attacchi sguaiati o provocazioni per raccogliere facili applausi. Dunque, al netto delle dinamiche di partito, la ricerca di rassicurazione e pacificazione che oggi accomuna un elettorato ancora scosso dal trauma del Covid dovrebbe indurre tutta la politica a farsi qualche domanda sull’efficacia di strategie che negli ultimi anni hanno puntato più sul clamore che sulla sostanza.

DESTRE AL PALO. Una domanda in tal senso dovrebbero porsela Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che sembrano non volersi accorgere che continuare ad inseguire minoranze rumorose conduce ad essere altrettanto minoranza politica. Perdendo così il contatto con quella mitologica “pancia del Paese” che la destra italiana si è sempre vantata di rappresentare, contro una sinistra dipinta come chiusa nell’altrettanto mitologico “recinto della ZTL”. ma che oggi appare decisa a voltare le spalle a chi rischia di non essersi accorto che qualcosa è cambiato nel profondo delle nostre opinioni pubbliche.