Nel 2024, in Italia sono nati circa 370mila bambini. Sono diecimila in meno rispetto al 2023 e oltre 200mila in meno rispetto al 2008. È il nuovo record negativo nella serie storica. È anche l’ennesimo segnale ignorato da chi dovrebbe governare con lo sguardo lungo. Il declino delle nascite è strutturale, inesorabile, ma viene trattato come un’emergenza occasionale da tamponare con bonus e propaganda.
Un declino demografico profondo e strutturale
Il tasso di natalità è sceso a 6,3 nati ogni mille abitanti e la fecondità si è attestata a 1,18 figli per donna, il livello più basso mai registrato, persino peggiore del precedente minimo del 1995. Il numero di donne in età fertile (15-49 anni) è passato dai 14,3 milioni del 1995 agli 11,4 milioni del 2025. La base riproduttiva è più stretta e più fragile. Anche volendo, è oggettivamente più difficile fare figli.
Secondo il demografo Alessandro Rosina, se non si agisce con una strategia efficace, l’Italia rischia di precipitare in una “trappola demografica”: meno nascite, più anziani, meno forza lavoro, più spesa pubblica e un sistema di welfare sempre più insostenibile. Eppure, mentre la macchina del tempo sociale si inceppa, la politica si limita a tirare la leva dei bonus.
Politiche inadeguate: bonus e slogan
Il governo Meloni ha definito la natalità una “priorità assoluta” ma l’ha affrontata con lo stesso armamentario degli ultimi vent’anni: trasferimenti economici, una tantum, limitati e spesso mal calibrati. L’Assegno Unico Universale è stato potenziato, il bonus bebè 2025 prevede 1000 euro per i nuovi nati, il bonus nido è salito fino a 3600 euro ma solo per famiglie con Isee sotto i 40mila euro e almeno due figli.
I dati Ocse parlano chiaro: l’Italia investe l’1,87% del Pil per famiglie e infanzia, contro una media Ue del 2,56% e punte del 3,4% in Francia. In Italia il 90% di questa spesa è concentrata in sussidi diretti, considerati meno efficaci dei servizi strutturali per l’infanzia come gli asili nido o i congedi parentali remunerati.
Dove servono scuole e nidi, arrivano tagli e disinteresse
Il Pnrr aveva promesso 264mila nuovi posti in asili nido. Il governo Meloni ha ridotto l’obiettivo a poco più di 150mila. In Sardegna, dove alcune province hanno visto crolli di natalità oltre il 18%, i comuni con meno servizi per l’infanzia sono anche quelli con più alta disoccupazione femminile. È nei territori più fragili che servirebbe uno sforzo straordinario. Invece, si continua a tagliare, a differenziare, a rimandare.
Intanto, una donna su cinque abbandona il lavoro dopo la maternità. L’Italia ha uno dei più bassi tassi di occupazione femminile in Europa. Le misure di conciliazione vita-lavoro sono frammentarie, i congedi ancora troppo brevi o mal pagati, lo smart working ridimensionato, e la cultura della cura resta sulle spalle delle donne.
Un patto sociale rotto, un futuro negato
Non si fanno figli in un Paese che fa pagare ai giovani l’autonomia con anni di precarietà, che delega alle famiglie il sostegno economico e poi le abbandona. Il sistema italiano ha scelto di sostenere chi è già garantito, piuttosto che investire su chi vorrebbe mettersi in gioco.
La denatalità non è un destino. È una scelta politica. Rimane legata a esigenze ineludibili: più welfare, più servizi, più occupazione stabile, più uguaglianza. Solo che per farlo serve coraggio, visione e la volontà di non trattare la natalità come un’arma da talk show. Serve uno Stato che non dia mille euro ai nuovi nati e mille ostacoli ai nuovi genitori.