Prima l’arresto per una torbida vicenda di sentenze aggiustate dietro pagamento (leggi l’articolo), poi la scoperta di uno spaventoso arsenale da guerra detenuto illegalmente dall’ex gip di Bari, Giuseppe De Benedictis. Armi che, secondo il sospetto avanzato dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, l’ex magistrato avrebbe custodito per conto dei clan baresi.
Questa la nuova e inquietante rivelazione che emerge dagli atti dell’inchiesta finiti al vaglio del gip Giulia Proto che, nell’ordinanza di giovedì con cui è stato arrestato De Benedictis e anche il caporal maggiore dell’Esercito Antonio Serafino, scrive che l’uomo deteneva tali armamenti “per conto di soggetti terzi appartenenti a persone orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata locale”. Un sospetto fondato, secondo la Proto, proprio sulla base di alcune intercettazioni in cui l’uomo, dopo esser finito nel mirino dei pm per alcune sentenze aggiustate, appariva piuttosto preoccupato dalla possibile scoperta dell’arsenale da guerra perché così “risalgono a chi non devono”. Parole che, secondo gli investigatori, lasciano adito a pochi dubbi perché, secondo loro, il riferimento non può che essere a personaggi del sottobosco criminale di Bari.
SENZA FRENI. Del resto l’arsenale scoperto lo scorso 30 aprile in una masseria nelle campagne di Andria e in parte ritenuto di proprietà dell’ex giudice De Benedictis, è troppo ingente per non creare inevitabili sospetti su cui, in queste ore, sono a lavoro i magistrati di Lecce. In quell’occasione, infatti, nella proprietà di un amico incensurato dei due arrestati, gli uomini della Squadra mobile hanno individuato mitragliette Uzi, fucili Kalashnikov, mitragliatori d’assalto tra cui M12 e Ar15, notavantanove pistole, mine anticarro, bombe a mano, numerosi fucili, carabine di precisione, 3,400 detonatori e 10 silenziatori per bombe a mano.
Materiale per il quale, scrive il gip Proto nell’ordinanza, De Benedictis e Serafino vengono descritti, senza peli sulla lingua, come “autentici trafficanti in armi da guerra”. Dispositivi che poi riuscivano a trasportare impunemente sul territorio come emerge in un’intercettazione dove Serafino, sul quale in passato erano “emersi contatti sospetti con soggetti dei clan della zona di Bitonto”, chiede all’ex magistrato il modo in cui era riuscito a far partire un carico, ricevendo come risposta un laconico “con cinque carabinieri”. Militari che, a loro insaputa, De Benedictis usava come “vedette” per eludere eventuali controlli perché, come racconta a Serafino, “se ti prendono con un carico del genere, è meglio che ti spari”.
CACCIA AI COMPLICI. Ma l’inchiesta è tutt’altro che finita e potrebbe riservare altri colpi di scena. A farlo pensare è la stessa ordinanza del giudice Proto, in cui si legge che “tra gli accertamenti ancora da espletare, vi sono quelli relativi ad una possibile sottrazione di talune delle armi in sequestro all’Esercito italiano, plausibilmente, con la compiacenza se non proprio con il contributo positivo di altri pubblici ufficiali infedeli che hanno garantito, anche, copertura” agli indagati.
Appare “assai difficile che gli odierni indagati abbiano potuto nel tempo trafficare in armi di tale portata e offensività per la collettività tutta, senza poter contare sul contributo e supporto di altri pubblici ufficiali, in specie appartenenti ai carabinieri e comunque alle forze dell’ordine”. Un sospetto rafforzato dal fatto che “entrambi rivestono alte cariche quali pubblici ufficiali, cariche che hanno, in modo subdolo, strumentalizzato per fini illeciti”.