Nel parlare di Antonio Tajani e del suo rapporto con la storia, più che un’analisi servirebbe un ripasso. Il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, già presidente del Parlamento europeo, ha negli anni inanellato una sequenza di scivoloni storici, a volte così grossolani da sembrare più operazioni propagandistiche che semplici distrazioni. L’ultimo, in ordine di tempo, è arrivato l’11 giugno 2025, quando per giustificare il suo no al terzo mandato per i presidenti di Regione, ha dichiarato: “Anche Hitler e Mussolini sono andati al potere vincendo le elezioni“. Una frase così sgangherata che ha costretto gli storici a fare gli straordinari.
Mussolini e Hitler: la verità oltre la propaganda
La realtà storica, confermata da numerosi studiosi e ricostruita da Pagella Politica e dalle principali testate storiche italiane, è opposta a quanto sostenuto da Tajani. Benito Mussolini non ha mai vinto elezioni. Nel 1921 fu eletto in Parlamento all’interno dei “Blocchi nazionali“, ma il suo partito ottenne solo 35 seggi, a fronte di una netta maggioranza socialista e popolare. Il potere lo conquistò con la Marcia su Roma del 1922, definita da storici come Paolo Pombeni e Marco Fioravanti un colpo di Stato vero e proprio. Le elezioni del 1924, vinte dopo l’introduzione della legge truffa Acerbo, furono segnate da violenze e intimidazioni, e quelle del 1929 furono un plebiscito sotto regime a partito unico.
Anche Adolf Hitler non salì al potere attraverso un mandato popolare. Le elezioni del 1932 non gli diedero la maggioranza, e fu solo nel gennaio 1933 che il presidente Hindenburg lo nominò cancelliere, in seguito a trattative di palazzo con la destra conservatrice. Le elezioni successive del marzo 1933 si svolsero sotto intimidazione, con i comunisti banditi e gli oppositori perseguitati, e già in novembre si votava con una lista unica in pieno regime nazista.
Insomma: né l’uno né l’altro ottennero il potere con un mandato elettorale limpido. La narrazione di Tajani distorce i fatti, offrendo una rappresentazione semplificata e falsa che banalizza l’avvento di due dittature. Peggio: li assolve implicitamente, rendendoli quasi dei legittimi esiti del voto democratico.
Revisionismo da salotto: “Le cose buone” di Mussolini
Non è la prima volta che Tajani inciampa nella storia. Nel 2019, intervistato da Radio 24, dichiarò che Mussolini “fece anche cose positive“, citando strade, ponti e impianti sportivi. Una retorica che appartiene al vocabolario del revisionismo soft, quello che cerca di separare la brutalità del fascismo dalle sue presunte opere pubbliche. Ma le date smentiscono questa narrazione. Giacomo Matteotti fu assassinato nel 1924, le libertà democratiche soppresse dal 1925, i crimini coloniali in Etiopia iniziarono già nel 1935. Le leggi razziali del 1938 arrivano dopo un regime già totalitario, e non prima della sua deriva, come vorrebbero i nostalgici in doppiopetto.
Quella dichiarazione costò a Tajani una figuraccia internazionale: cartelli con scritto “Mai più fascismo” sventolati al Parlamento europeo, indignazione bipartisan, e infine un goffo dietrofront in cui si definì “da sempre antifascista”.
Il salario minimo “sovietico” e l’anticomunismo d’accatto
Nel luglio 2023, Tajani aggiunge un altro capitolo al suo curriculum ideologico dichiarando che il salario minimo porterebbe “stipendi tutti uguali, come nell’Unione Sovietica“. Anche in questo caso, la realtà storica lo smentisce: in Urss non esisteva alcuno “salario unico”, ma un sistema fortemente gerarchizzato e segmentato. Equiparare il salario minimo legale – adottato in quasi tutta Europa – a un modello economico totalitario è una forzatura priva di fondamento. Come ha osservato Pagella Politica, si tratta di “una delle dichiarazioni più scorrette del 2023”.
Non è un lapsus, è un modello comunicativo. L’anticomunismo viscerale viene evocato per screditare ogni intervento sociale dello Stato, con lo scopo di compattare l’elettorato conservatore. La verità storica è solo un danno collaterale.
Il passato piegato, il futuro ignorato
Che Tajani usi la storia come clava politica è ormai evidente. Ma l’ultimo esempio dimostra che le sue difficoltà non si fermano al passato. Ieri commentando il rischio di un’escalation tra Israele e Iran, Tajani affermava: “La notizia di un attacco imminente è da ritenere infondata. Ci risulta che la situazione sia sotto controllo”. Poche ore dopo, l’attacco israeliano era una realtà. Una cantonata diplomatica grave, figlia dello stesso schema: parlare e dichiarare per posizionarsi, e piegare la realtà ai fini della propria narrazione.