Da soli contro tutti. I 5 stelle non mollano sugli impresentabili di Eni e Leonardo. Resta il veto su Descalzi imputato per corruzione a Milano. Indigeribile pure l’ex banchiere Profumo difeso dal Pd

Eni, Enel, Finmeccanica… abbiamo fatto una rivoluzione per confermare il sistema che c’era? Può racchiudersi in questa domanda l’indignazione che attraversa il Movimento 5 Stelle, dalla base ai portavoce in Parlamento, senza escludere quelli più in vista, che sui giornali vengono descritti alternativamente come rassegnati o come fessi, a seconda che si racconti la favoletta di una forza politica costretta a causa dell’emergenza Coronavirus ad accettare la riconferma dell’intero pacchetto dei manager scelti da Renzi e dal Pd, oppure che torni il solito cliché del Movimento assetato di poltrone, talmente in cerca di spazi per i propri manager – che tra l’altro non ha – da accontentarsi delle presidenze, per quanto prive di deleghe significative.

La verità – a quanto apprende La Notizia – è che i giochi sulle nomine nelle grandi partecipate pubbliche sono quasi tutti aperti. Solo sui capo-azienda di Enel e Poste c’è infatti una piena condivisione delle forze politiche della maggioranza M5S, Pd, Leu e Italia Viva, intenzionati a non interrompere a metà strada i piani industriali pluriennali di Francesco Starace e Matteo Del Fante. Su tutto il resto invece si tratta, con due posizioni sulle quali il Movimento non si è rassegnato: l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi e l’omologo di Finmeccanica Leonardo, Alessandro Profumo (nella foto insieme).

I motivi sono fin troppo ovvi, e se è vero che in una coalizione per avere da una parte bisogna cedere dall’altra, su questi due manager c’è una gigantesca pregiudiziale. Descalzi, che sulla base di indiscrezioni che sfuggono ai 5S, ieri veniva dato per riconfermato persino dal Fatto Quotidiano, giornale che ha dedicato decine di pagine alle sue vicende giudiziarie. Evidentemente l’amore del quotidiano per Conte – che gioca un ruolo determinante in tutta la partita delle nomine – ha fatto digerire il ruolo di imputato a Milano in un processo per corruzione internazionale che ambienti vicini alla stessa Eni hanno cercato di depistare. Se non bastasse questo biglietto da visita, l’attuale numero uno del cane a sei zampe è indagato pure in Congo, dove la moglie ha ottenuto appalti per 300 milioni guarda caso dall’Eni.

In un Paese normale Descalzi avrebbe già fatto le valige, ma qui non solo è rimasto al suo posto, difeso in Parlamento dall’allora premier Renzi quando arrivò la prima inchiesta milanese, ma il Pd lo vuole confermare pretendendo che il Movimento gli tenga bordone. Ora sia chiaro che Descalzi non ha per il momento alcuna condanna, ma se mai questa dovesse arrivare sarebbe uno shock per il nostro colosso energetico. Inoltre i risultati raggiunti negli ultimi anni dall’Eni non sono paragonabili a quelli decisamente brillanti di Enel e Poste, e per quanto siano state staccate ricche cedole al Tesoro, la società è rimasta ai margini di quel processo di transizione energetica che a parole è l’obiettivo strategico anche del Pd.

Mentre non ci sono preclusioni sull’Ad in carica a Terna, i 5S non hanno tolto il veto su Profumo, un banchiere che non c’entra niente con la vocazione industriale di Finmeccanica, che però fu imposto dall’allora capo del Governo Gentiloni, col risultato di migliorare i conti finanziari ma di spingere sull’orlo della disperazione i lavoratori degli stabilimenti pugliesi e liguri, al contrario di quelli dell’Est europeo dove il gruppo dell’aerospazio ha delocalizzato alcune produzioni. Tutti aspetti che ieri sono tornati in discussione in uno degli ultimi vertici prima di trarre le conclusioni, visto che al Mef sono rimaste poche ore per presentare le liste con i nomi dei Cda da portare nelle assemblee.

Così a trattare sono solo Gualtieri, collegato in qualche modo Zingaretti e il capo delegazione al Governo Franceschini per il Pd, Speranza per Leu, l’ex ministro Boschi per Italia Viva e il sottosegretario Fraccaro per i 5 Stelle, senza alcuna presenza fino a ieri pomeriggio del capo politico Crimi o del capo delegazione Bonafede. Un ulteriore segno che le decisioni finali non ci sono ancora, anche se sull’ultima parola incombono altre due figure determinanti: il direttore generale del Mef con delega alle partecipate, Alessandro Rivera, e in ultima istanza Conte. Proprio a quest’ultimo si sarebbero votati praticamente tutti i manager in corsa, comprese non poche new entry per le poltrone nei Cda. Molti con la speranza che il premier se ne infischi delle preclusioni dei 5 Stelle.