Dal Jobs Act alla costituzione, Il Pd come sempre litiga su tutto. Ma se si rompe sarà sulla legge elettorale

Non c’è stata la scissione del Pd sul Jobs Act, né sul referendum e né sull’andamento lento dell’economia. Ma può arrivare sulla legge elettorale.

Non c’è stata la scissione del Pd sul Jobs Act, né sul referendum costituzionale e né tantomeno sull’andamento lento dell’economia. Insomma, la tenuta del partito nonostante tutto sembra a prova di bomba. E invece no: la rottura potrebbe arrivare sulla legge elettorale. Perché su come va il Paese reale si può soprassedere, ma sulla ripartizione dei seggi in Parlamento non è possibile far finta di niente. Specie nel caso di un ritorno al proporzionale. In quel caso ci sarebbe il “liberi tutti” con la nascita di una formazione : ognuno farebbe la propria campagna elettorale con i propri simboli. Poi, a Parlamento completo, si potrebbe discutere un’eventuale alleanza. Ma su sponde diverse e con il peso dei voti da mettere sul tavolo di un’eventuale mediazione per la formazione di una maggioranza in Parlamento.

Poltrone – Insomma, mentre Matteo Renzi studia la nuova segreteria, intorno a lui il partito continua a essere in fibrillazione. E, manco a dirlo, a creare i maggiori grattacapi è la minoranza, che ha schierato al congresso l’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza. I bersaniani di stretta osservanza ragionano – al di là del congresso – da separati in casa, quasi aspettando il casus belli per la spaccatura definitiva. Il possibile referendum sul Jobs Act è un tema caldo, su cui la sinistra dem punta a ricostruire un rapporto con i lavoratori. Tuttavia, non sarà decisivo per arrivare alla scissione. Certo, Speranza ha lanciato un avviso ai naviganti: “Se la legge sui voucher non viene modificata e non viene intaccato un meccanismo che ha portato a una distorsione nell’uso di uno strumento nato essenzialmente per fare emergere il lavoro nero, allora non c’è dubbio che, se c’è il referendum, io voto sì”, ha chiarito. Ma dietro le dichiarazioni battagliere non c’è una volontà di rottura totale nemmeno da parte di Pier Luigi Bersani, che resta il punto di riferimento di quell’area politica. A meno che il dibattito sulla legge elettorale non viri drasticamente verso un ritorno al proporzionale. “Con un sistema del genere non avrebbe molto senso dover coabitare ancora con Renzi. A quel punto meglio andare per strade diverse cercando di conquistare un ampio consenso”, ammette un esponente molto vicino a Speranza. Insomma, la scusa per la scissione arriverebbe con la legge elettorale.

Il paradosso – Il Rottamatore si trova così davanti a una bellas occasione: liberarsi dalla palla al piede della minoranza, senza apparente fatica, e trovare subito un’intesa con Forza Italia per la riforma della legge elettorale, che spinge proprio per un ritorno al proporzionale. Un colpo perfetto? Non proprio. Il problema è che la chance rischia di tramutarsi in una trappola: con un sistema da Prima Repubblica, Renzi potrebbe approdare una seconda volta a Palazzo Chigi. Ma a un prezzo molto elevato: dover trattare per avere la maggioranza proprio con i bersaniani e chissà, allo stesso tempo, pure con Silvio Berlusconi.