Dalla destra Usa a quella italiana: querelare i giornalisti, disturbatori della democrazia

Dagli Usa di Trump e all'Italia di Meloni: le querele temerarie come strumento per ridurre la stampa al silenzio

Dalla destra Usa a quella italiana: querelare i giornalisti, disturbatori della democrazia

Donald Trump ha depositato una causa da 15 miliardi di dollari contro il New York Times e alcuni suoi reporter, accusandoli di «diffamazione con malizia» per articoli e un libro usciti prima del voto 2024. È l’ultimo capitolo di una campagna giudiziaria contro la stampa che l’ex presidente Usa porta avanti come simbolo e bersaglio, nel solco delle azioni già condotte contro altri media. La cifra, sproporzionata, è un messaggio: intimidire, scoraggiare, drenare risorse. Non a caso il ricorso lega perfino l’andamento in Borsa della sua società mediatica ai “danni” della critica.

La normalizzazione che non placa la ferocia

La storia recente mostra che una parte dell’informazione statunitense ha tentato di normalizzare Trump, offrendogli una visibilità senza precedenti: miliardi in “earned media” nel 2016, comizi trasmessi in diretta, la corsa al click come criterio editoriale. Perfino il numero uno di CBS ammise che quella stagione «non era buona per l’America, ma dannatamente buona per noi». La saturazione non ha attenuato l’aggressività: ha alimentato un ecosistema dove la critica è delegittimata come “fake news” e l’avversario è descritto come nemico interno. Le rettifiche arrivate dopo, i report accademici sulla copertura sbilanciata e povera di contenuti di policy, sono serviti a poco: la macchina della denigrazione era già diventata narrativa politica.

Italia, la stessa musica (con meno garbo)

Da questa parte dell’Atlantico, la maggioranza di governo ha trasformato la querela in strumento ordinario di pressione. Il caso Saviano – condannato in primo grado dopo la denuncia di Giorgia Meloni – è diventato un precedente simbolico. La premier ha poi ritirato la querela contro il quotidiano “Domani”, ma il segnale resta: l’uso del penale e del civile per “gestire” la critica. E non è solo Palazzo Chigi: il sottosegretario Fazzolari ha querelato lo stesso giornale, mentre altri esponenti hanno brandito azioni legali o iniziative di polizia contro redazioni. Nel frattempo l’azienda pubblica è terreno di scontro: scioperi dei giornalisti Rai per “ingerenze politiche” e casi di monologhi cassati alimentano il clima.

I numeri danno contesto: secondo la coalizione europea CASE, nel 2023 l’Italia è il Paese con più SLAPP mappate (26) su 166 totali in 41 Stati, mentre Reporter senza frontiere registra un deterioramento del quadro e segnala allarmi su querele intimidatorie e interferenze. Le cosiddette SLAPP, Strategic Lawsuits Against Public Participation, sono cause temerarie intentate da politici o grandi aziende non tanto per vincere, quanto per intimidire e fiaccare economicamente chi scrive. Non è solo statistica: significa redazioni che spendono in legali invece che in inchieste, freelance che rinunciano a pubblicare, editori che preferiscono non rischiare. È una tassa occulta sulla verità.

A Bruxelles il tema è esplicito: l’Unione europea ha varato l’European Media Freedom Act e la direttiva anti-SLAPP; nel dibattito europeo l’Italia viene citata per possibili violazioni dei principi di pluralismo e indipendenza. Anche sul fronte sicurezza, le denunce sull’uso di spyware contro cronisti hanno portato esposti e interrogazioni. È il contesto in cui la querela smette di essere un rimedio e diventa metodo.

Trump e la destra italiana condividono la stessa chiave: i giornalisti non come mediatori scomodi, ma come disturbatori della democrazia. Da punire in tribunale o delegittimare in piazza digitale. La fotografia è identica: l’uomo forte invoca risarcimenti astronomici o multe esemplari, spiega che la stampa “mente”, pretende titoli compiacenti, accusa di faziosità chiunque verifichi i fatti. E se le testate si allineano per convenienza, non basta: la ferocia chiede sempre un nemico nuovo, un colpevole diverso, un altro silenzio.

La lezione americana è già scritta: l’inseguimento dell’audience ha contribuito alla torsione dell’opinione pubblica senza ottenere la tregua. La lezione italiana è in corso: record di SLAPP, indici internazionali in calo, servizio pubblico in apnea, cause “esemplari” come scorciatoia politica. È qui che si misura il valore della stampa indipendente: non nella neutralità finta, ma nella documentazione accurata; non nella reverenza, ma nel controllo del potere; non nel titolo accomodante, ma nei conti che tornano, nelle carte messe in fila, nelle responsabilità attribuite con nome e data.

Se c’è un antidoto all’erosione democratica non è la prudenza complice. È investire in redazioni libere, norme anti-SLAPP efficaci, trasparenza nei media pubblici, editori che preferiscano perdere una causa che perdere la schiena. La democrazia regge solo se qualcuno continua a fare domande. E continua a farle anche quando chi governa – a Washington come a Roma – minaccia di presentar loro il conto.