Se già il 2024 era stato pessimo, il 2025 è destinato a passare alla storia come l’annus horribilis della giustizia italiana. Quello, cioè, nel quale maggioranza e governo Meloni – grazie all’infaticabile opera del Guardasigilli Carlo Nordio – sono riusciti a smontare i dettami costituzionali che fino a oggi hanno regolato il funzionamento della Magistratura; a imbrigliare l’azione penale; a imporre una svolta autoritaria al diritto penale, creando nuovi reati per reprimere il dissenso e, dulcis in fundo, a depotenziare (se non annullare) il perimetro di attività della Corte dei Conti. Il tutto, trovando anche il tempo per aprire un conflitto inaudito con la Corte penale internazionale per il caso Almasri.
La separazione delle carriere
Il primo “fiore all’occhiello” dei picconatori della giustizia, naturalmente, è il via libera all’agognata (da Sindona a Berlusconi) separazione delle carriere dei magistrati. Una riforma costituzionale – che dovrà passare per un referendum confermativo, ancora senza data – che separa magistratura inquirente e giudicante e istituisce due distinti Csm, formati da membri laici e togati scelti tramite sorteggio. Una rivoluzione il cui vero scopo non è il miglioramento dei tempi della giustizia, ma la sottoposizione del pm al potere esecutivo.
Le mani legate agli inquirenti
Se la separazione delle carriere è il grande disegno, le norme volute per legare le mani agli inquirenti nelle indagini (soprattutto in quelle sui colletti bianchi) sono le “micro” riforme pensate per gettare sabbia negli ingranaggi degli inquirenti.
Tra queste ricadono
- il perfezionamento dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la cui legittimità costituzionale è stata confermata a maggio 2025;
- la norma che limita a 45 giorni la durata delle intercettazioni per gran parte dei reati, ora prorogabili solo con motivazione specifica e giustificata da elementi concreti;
- i limiti imposti alla pubblicazione delle ordinanze cautelari fino alla conclusione delle indagini preliminari e di altri atti (pubblici) fino a determinate fasi processuali (es. sentenza di primo grado);
- le limitazioni al potere di impugnazione da parte del pm delle sentenze di proscioglimento per reati di minore gravità.
Col Decreto Sicurezza 14 nuovi reati e pene più pesanti
Non si possono poi dimenticare i 14 nuovi reati introdotti dal Decreto Sicurezza e l’inasprimento delle pene per quelli già previsti. Tra le nuove fattispecie possiamo ricordare
- l’occupazione abusiva di immobile destinato a domicilio altrui, con pene da 2 a 7 anni;
- il reato di blocco stradale o ferroviario, punibile con la reclusione (fino a 1 mese o multa; da 6 mesi a 2 anni se organizzato);
- il reato di “rivolta all’interno di un istituto penitenziario” o CPR;
- il divieto di vendita delle SIM telefoniche a migranti senza documenti.
Poi ci sono le aggravanti, come
- l’aumento delle pene per resistenza, violenza o minaccia a pubblico ufficiale (fino alla metà);
- la proibizione di importazione, lavorazione, detenzione, cessione e vendita delle infiorescenze della canapa;
- il Daspo Urbano, che estende il divieto di accesso a determinate aree per soggetti ritenuti pericolosi e l’inasprimento delle misure e la revoca del rinvio della pena obbligatorio per le madri detenute.
La Corte dei Conti ridotta all’impotenza
Circa la Corte dei Conti, la riforma votata in gran fretta il 27 dicembre scorso, tra le altre “amenità”, prevede che d’ora in poi ci sia un limite al risarcimento che potrà essere posto a carico di amministratori, dirigenti e funzionari condannati per danno erariale. Il risarcimento è ora limitato al 30% degli importi accertati, oppure a due annualità dello stipendio del reo. Il resto, quel 70%, sarà invece a carico dello Stato.
Caso Almasri: tutti salvi (salvo Bartolozzi)
Infine è impossibile non ricordare il caso del generale libico, ricercato dalla Cpi per crimini di guerra, che la nostra Polizia ha arrestato a Torino nel gennaio scorso e che Nordio ha rimesso in libertà. Non solo, Almasri è stato anche rispedito in Libia con un volo di Stato.
Per quella vicenda, la CPI ha accusato l’Italia di aver violato gli obblighi internazionali di cooperazione, chiedendo un deferimento formale per inadempienza e sono stati indagati per favoreggiamento e peculato la premier Giorgia Meloni, i ministri Nordio e Matteo Piantedosi, il sottosegretario Alfredo Mantovano e la capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi.
Tutti sono stati salvati dal Parlamento, nonostante le quattro versioni diverse fornite sull’accaduto. L’unica ancora sotto (possibile) indagine è Bartolozzi, ma Nordio e la maggioranza stanno facendo di tutto per toglierla dai guai. E probabilmente ci riusciranno. Ma questo lo vedremo nel 2026, che speriamo sia un anno migliore.