Dalle banche alle cosche: le tracce della massoneria sono dovunque. E con ‘ndrine e clan mafiosi le logge sono più forti che mai

Dall’inchiesta su Matacena a Mammasantissima. Le ultime indagini rivelano come le mafie abbiano abbandonato la lupara per entrare nella massoneria.

L’ultimo campanello d’allarme è arrivato con  il filone d’indagine nato sulla scia dell’inchiesta, più ampia, riguardante la latitanza dell’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, condannato definitivamente a tre anni per concorso esterno alla ‘ndrangheta e da circa tre anni latitante. L’inchiesta, condotta dalla Dda di Reggio Calabria, vede indagate diverse figure del troncone principale (tra cui anche l’ex ministro Claudio Scajola). Ma ci sono anche nomi nuovi. Nomi che rivelano un collante tra massoneria, appunto, servizi segreti e porporati. Nella nuova indagine, infatti, si parla anche di un colonnello dell’Aise, massone affiliato al Grande Oriente d’Italia, e un assistente capo di polizia in servizio a Palazzo Chigi accusati di aver favorito proprio la latitanza di Matacena. Il capo di imputazione è più che chiaro: “associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denonimata ’ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio in campo nazionale e internazionale”. Non solo. Ad essere coinvolto vi sarebbe anche un monsignore che avrebbe tentato di vendere in nero 400 chili di lingotti custoditi in un caveau del Vaticano e frutto “della fusione di oro donato dai fedeli alla Chiesa”.

MAMMASANTISSIMA – Non c’è tuttavia da stupirsi. Prima che riscoppiasse il caso Matacena, ci aveva pensato l’inchiesta Mammasantissima, a mostrare come una cupola di invisibili muovesse i fili in Calabria e in Italia, legandosi alla criminalità e ai servizi deviati. Una cupola al cui vertice, secondo gli inquirenti, c’erano Paolo Romeo, ex parlamentare e condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, e il senatore di Gal, Antonio Caridi. Lo stesso Caridi che, a inizio legislatura, stava per entrare in commissione antimafia, nonostante il suo nome fosse finito nel 2011 in un’inchiesta della Dda di Genova. E la cupola degli invisibili era riuscita a tessere, secondo l’accusa, reti importanti, da Giuseppe Scopelliti, a Maurizio Gasparri, fino a Domenico Scilipoti che, “a sua insaputa”, scriveva interrogazioni utili alla causa.

Basta così? Certo che no: nelle pagine dell’inchiesta spunta anche un verbale firmato da Giuliano Di Bernardo. Il Gran Maestro che guidò il Goi fra il ‘90 e il ‘93, riferice che, dopo aver interpellato il suo vice, il calabrese Ettore Loizzo, venne a sapere che “in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ’ndrangheta”. E allora forse conviene ricordare le parole del boss Pantaleone Mancuso: in un’intercettazione spiega che la ‘ndrangheta “non esiste più”: la ‘ndrangheta vera è all’interno della massoneria, anzi è “sotto la massoneria”.

CAMPANIA E SICILIA – Ma non basta. Perché se in Calabria i legami sono, ormai, cosa nota, in Sicilia sono “cosa nostra”. L’ultimo tassello è arrivato a giugno con una maxi operazione della Guardia di Finanza contro il clan Ercolano, dominus nella Sicilia orientale. L’inchiesta ha fatto emergere il ruolo centrale di Aldo Ercolano, boss mafioso ma anche “primo diacono”, un incarico massonico tramite il quale la sua loggia di appartenenza poteva trattare con un’altra loggia, molto potente in Sicilia, la Kairos, guidata da Sebastiano Cavallaro, anche lui finito non a caso nel mirino degli inquirenti.

Finita qui? Certo che no. Perché non è imune la Campania. Dopo l’inchiesta dal nome non casuale, Campania Felix, (quella per intenderci da cui poi è emersoa tutta la verità sulla Terra dei Fuochi), è emerso lo stretto rapporto tra Casalesi e logge massoniche. C’è da sorprendersi? Forse no: tra i condannati c’è anche Gaetano Cerci, parente del boss Francesco Bidognetti e legato già a Licio Gelli.

Tw: @CarmineGazzanni