De Bortoli licenzia il premier, ma la Fiat gli ricorda che il suo tempo è scaduto

di Lapo Mazzei

La borghesia illuminata, la maggioranza silenziosa, il ceto medio. Una volta bastava citare uno di questi soggetti con annesso aggettivo che pensavi a Milano e al suo giornale: il Corriere della Sera. Che, al contrario di Repubblica, non si è mai fatto partito. È sempre rimasto il guardiano del faro, il dito indice dell’opinione pubblica, la clava dell’imprenditoria che aveva, ed ha anche se con minor peso specifico, in Mediobanca il punto d’intersezione di tutti questi tasselli di un mosaico che si scompone e ricompone a seconda delle stagioni. Insomma, il Corriere, al netto degli interessi dei suoi molteplici editori, è una sorta di cartina di tornasole del Paese che guarda più ai palazzi che a quanto avviene nella piazza sottostante.

COLPO A SORPRESA
Per tutte queste ragioni l’editoriale vergato ieri dal direttore uscente, Ferruccio De Bortoli, rappresenta un “unicum” da studiare e pesare con particolare attenzione. Perché se il messaggio è chiaro – “Devo essere sincero: Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere” è l’incipit dell’editoriale che non celebra la nuova grafica del giornale ma distrugge il premier in carica – ciò che deve essere decifrato e quanto sta dietro a questo articolo. Insomma, occorrerà qualche giorno per leggere in filigrana il vero obiettivo del direttore di via Solferino. E non tragga in inganno la presa di posizione di Sergio Marchionne, dominus della Fiat e desideroso di costruirsi un profilo politico, che ha difeso Renzi e sconfessato De Bortoli. Tutto fa parte dell’italica commedia della politica, dove ciascuno segue il proprio copione. Anche il direttore del Corriere.

FUTURO IN POLITICA?
Al di là dell’aver regolato i conti rimasti in sospeso con il premier, il direttore del Corriere ha avvisato i naviganti che una volta fuori dal giornale non andrà ai giardinetti ma si dedicherà alla politica. Le opzioni sono tante, tutte degne di nota, ma è un altro l’elemento che vale la sottolineare. Il Corriere della Sera non è un partito, ma la cinghia di trasmissione fra i cosiddetti poteri forti, che esistono e muovono le pedine con grande attenzione, e gli snodi romani della politica che accelerano o frenano i processi politici. L’editoriale di De Bortoli, in pratica, ha evidenziato ciò che i troppi e inutili talk show della tv renziana, tutta chiacchiere e distintivo, non dicono: Renzi ha deluso tutti e l’Italia è in coma. All’estero ci considerano addirittura un Paese morto. Ecco, siccome nessuno vuole sotterrare se stesso e la terra che calpesta, mettere all’indice il pifferaio magico non è solo una necessità, ma l’unica scelta possibile. De Bortoli, dunque, incarna questa logica e mette in fila le parole che corrono nei salotti. Solo che nei salotti, a volte, le finestre sono chiuse e i rumori di fondo di un Paese allo stremo non arrivano. E nell’editoriale di ieri ci sono soltanto labili tracce, modesti indizi. È un po’ come se parlassero fra di loro. Come facevano i borghesi illuminati di una volta, che ascoltavano solo la maggioranza silenziosa e il ceto medio. E, ovviamente, leggevano il Corriere…