L’annuncio non c’è ancora, ma nei ministeri si ragiona già sul prossimo decreto flussi. Il provvedimento approvato definitivamente il 26 novembre 2025 ha fissato il perimetro politico: un sistema di ingressi sempre più selettivo, costruito attorno ai bisogni presunti del mercato del lavoro e alla promessa di velocizzare procedure che, nella realtà, continuano a ingolfarsi.
Il voto in Senato per alzata di mano, con la maggioranza compatta e l’opposizione contraria, ha sancito l’ennesima stagione di “governance” dell’immigrazione in cui efficienza e chiusura marciano insieme. Il prossimo decreto nasce in questo solco.
La selezione come strategia
La nuova architettura introduce il rilascio del nulla osta entro trenta giorni, elimina la conferma di assunzione da allegare alla domanda di visto ed estende a dodici mesi la finestra per richiedere l’ingresso dopo i percorsi formativi realizzati nei Paesi d’origine.
Misure presentate come snellimenti, ma che esplicitano l’obiettivo reale: entra chi è funzionale, quando è funzionale, secondo criteri fissati dall’alto.
La Lega ha segnato il passaggio più pesante: con gli ordini del giorno approvati alla Camera, i ricongiungimenti familiari sono ristretti a coniugi e figli minori. Una linea che anticipa il tratto politico del decreto flussi che verrà: confinare la vita delle persone dentro categorie amministrative, sottraendo spazio ai legami familiari e all’integrazione di lungo periodo.
Nel frattempo il governo mantiene una narrazione di fermezza, mentre le stime diffuse da sindacati e osservatori mostrano un mercato del lavoro dove la presenza straniera è strutturale e dove l’irregolarità resta funzionale all’offerta in agricoltura, logistica, cura e ristorazione.
L’assistenza come tampone, il resto come ostacolo
Il decreto attuale proroga fino al 2028 gli ingressi extra-quota per diecimila lavoratori destinati all’assistenza familiare e sociosanitaria. È la fotografia di un Paese che chiede forza lavoro per reggere l’invecchiamento della popolazione, ma continua a garantire numeri minimi. Secondo le principali organizzazioni del settore, il fabbisogno reale supera di gran lunga il contingente previsto. È qui che la maggioranza intende intervenire: più flessibilità sugli ingressi “utili”, più rigidità sugli altri canali.
La durata dei permessi per protezione sociale, per le vittime di tratta e di sfruttamento, passa da sei mesi a un anno, con possibilità di proroga. È l’unica apertura, pensata per mostrare equilibrio, mentre il resto del quadro procede verso una compressione degli spazi di regolarità. Anche il termine per i ricongiungimenti, portato da novanta a centocinquanta giorni, introduce un’ulteriore lentezza che rende sempre più complesso tenere insieme lavoro, famiglia e progetto di vita.
Il Tavolo contro il caporalato
Il Tavolo contro il caporalato diventa stabile. Ma la distanza tra norma e realtà si vede nelle campagne dove il lavoro nero rimane dominante e nelle periferie urbane dove la domanda di manodopera supera l’offerta regolare.
Il decreto flussi che verrà prenderà forma in questo squilibrio strutturale: domanda crescente, quote insufficienti, procedimenti lenti, irregolarità che prolifera dove il sistema chiude. La maggioranza parla di ordine; le opposizioni denunciano una selezione che crea vulnerabilità invece di ridurla.
La promessa è una gestione moderna. I dati raccontano tutt’altro: finché gli ingressi regolari resteranno un imbuto, il Paese continuerà a reggersi su ciò che non appare nelle statistiche ufficiali. È su questo terreno che si leggerà il prossimo decreto flussi. E sarà lo stesso terreno su cui verrà misurata la distanza tra gli slogan e la realtà del lavoro.