Decreto Sicurezza, la versione del governo non regge alla prova dei numeri: con le nuove norme si rischia più carcere

Il ministro Piantedosi difende il testo. Ma i dati dicono che le carceri sono già al collasso. E con le nuove norme si rischia di fare peggio

Decreto Sicurezza, la versione del governo non regge alla prova dei numeri: con le nuove norme si rischia più carcere

La fotografia che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si ostina a proporre è sempre la stessa: il nuovo Decreto Sicurezza non aggraverebbe il sistema carcerario italiano. “Sono convinto che non si determinerà l’aggravio sul sistema penale”, ha dichiarato il 4 giugno a Sky TG24. Dichiarazioni che sbattono però contro i dati e le analisi tecniche.

Il sovraffollamento già al collasso

Il primo dato, che Piantedosi finge di ignorare, è lo stato attuale delle carceri italiane. Al 2 giugno 2025, secondo i dati del Ministero della Giustizia, i detenuti sono 62.813 a fronte di 46.710 posti realmente disponibili, con un tasso di affollamento del 134,4%. Antigone conferma numeri analoghi, rilevando addirittura picchi del 220% in alcuni istituti come Lucca, Foggia e San Vittore. A questi numeri drammatici si aggiungono 91 suicidi nel solo 2024 e 29 nei primi quattro mesi del 2025.

Quando il sistema penitenziario è già saturo al limite patologico, introdurre nuove fattispecie penali e aggravare le pene non può che generare ulteriore pressione. La “bulimia punitiva”, come la definiscono oltre duecento giuristi in un appello sottoscritto contro il decreto, non è solo un errore politico: è un disastro calcolato.

Nuove norme, vecchia logica repressiva

Il Decreto Sicurezza non si limita a ritoccare norme esistenti. Introduce nuove fattispecie che trasformano condotte amministrative in reati penali. L’articolo 10, ad esempio, istituisce il reato di “occupazione arbitraria di immobile“, punito con pene da due a sette anni, rendendo inapplicabili le sanzioni alternative previste per pene inferiori a quattro anni. Persino chi “collabora” rischia il carcere, criminalizzando reti di solidarietà e movimenti per il diritto all’abitare.

Anche il dissenso diventa bersaglio. L’articolo 14 trasforma il blocco stradale da illecito amministrativo a reato punito con la reclusione fino a due anni se compiuto in gruppo. I manifestanti, gli attivisti sindacali, gli ecologisti: tutti nel mirino.

A completare il quadro, il nuovo reato di “rivolta penitenziaria“, punito fino a otto anni di carcere (dodici o più se vi sono lesioni o morti). La norma è costruita per essere un’arma di disciplina interna: la sola resistenza passiva può bastare per un’incriminazione. In quanto reato ostativo, preclude l’accesso ai benefici penitenziari, allungando inevitabilmente i tempi di detenzione.

Madri, minori e vulnerabili sotto schiaffo

Il Decreto colpisce anche le detenute madri. Il rinvio obbligatorio della pena per donne incinte o con figli piccoli diventa facoltativo, con la possibilità di separare legalmente madre e figlio per “condotta inadeguata”. Non serve molta fantasia per intuire le ricadute psicologiche e sociali di queste scelte.

Il sistema penale minorile, già sotto stress dopo il Decreto Caivano, rischia ora un ulteriore intasamento. Gli IPM registrano 611 presenze su 381 posti disponibili nel giro di due anni. Una deriva punitiva che normalizza l’incarcerazione precoce.

Le voci che il governo ignora

Non sono solo le opposizioni a denunciare lo sfregio giuridico. Accanto all’appello dei giuristi, anche l’Associazione Nazionale Magistrati e il Csm hanno sollevato gravi profili di incostituzionalità. L’associazione Antigone parla di “minaccia allo Stato di diritto” e prevede un “inevitabile aumento della popolazione detenuta”. Persino il cosiddetto Decreto Carceri, varato dal governo per affrontare il sovraffollamento, è stato definito dagli esperti “una occasione mancata”, troppo debole per bilanciare l’effetto espansivo del pacchetto sicurezza.

Non stupisce che il governo tenti di giustificare una scelta politica consapevole: quella di alimentare un diritto penale simbolico, da campagna elettorale permanente, che gonfia le carceri senza affrontare i problemi sociali. Il populismo penale non offre sicurezza. Produce solo più carcere, più suicidi, più disperazione.