Dentro e fuori la Lega a rischiare la spallata adesso è Salvini. Finito lo strapotere del Capitano. Via Bellerio verso la segreteria

Clima incandescente dalle parti del centrodestra in uno scenario post voto che sa tanto di resa dei conti. Di quelle pesanti. Che Mara Carfagna non fosse una fan di Matteo Salvini è noto da tempo, non sorprendono dunque le sue dichiarazioni in cui sostiene che “il quinquennio d’oro del populismo è finito” e in cui si scaglia contro i “sovranisti della sua coalizione: “Capisco la difesa del sovranismo, è il cuore della vostra politica, ma bollare come inciucista qualsiasi pensiero che non aderisca a quell’ideologia mi sembra ingeneroso e un pochino intollerante”. Non certo un’affettuosità, ma la bordata vera arriva da chi come Giovanni Toti è sempre stato considerato “vicino” alle posizioni di Salvini.

Di fatto il governatore rieletto in Liguria col 56% di voti (con il suo movimento Cambiamo che ha preso il 22%) mette in discussione le capacità di leadership del Capitano: “Per essere il capo, servono due cose: i numeri e la capacità di gestire la coalizione. I primi ci sono, la seconda per ora no. Potrebbe essere l’architetto del centrodestra, ma non mi risulta che abbia alcun progetto. Si concentra solo sulle sue battaglie, va per conto suo. Non ascolta chi gli vuole bene. Qual è la conseguenza? A forza di dare spallate, finisce per rimediare una lussazione dopo l’altra”. Questo è quanto affermava in un’intervista al Corriere della Sera mercoledì salvo poi correggere il tiro ieri affermando che “è arrivato il momento di aggregare un centrodestra moderato e di farlo con chi ci sta, a cominciare da Forza Italia, coinvolgendo Mara Carfagna e non solo.

Solo dopo aver unito tutti i centristi dispersi di qua e di là il secondo step vede “Salvini nuovo leader e candidato alla premiership di un progetto federativo , o costituente che dir si voglia, a patto però che si tolga la maglia della Lega, ovvero quella dell’uomo di parte per vestire la divisa comune della coalizione”. Decisamente parole meno dure. Anche perché il fatto di aver messo in discussione la leadership del segretario della lega aveva stizzito non poco l’entourage salviniano, con Gian Marco Centinaio che, commentando l’intervista al Corriere, aveva definito il governatore “alquanto ingeneroso” nei confronti di che, quando “Toti era considerato un appestato dopo essere uscito da FI è stato l’unico a prenderlo e portarlo sui palchi alle varie manifestazioni della Lega”.

Poi è lo stesso leader del Carroccio a replicare: “Ogni cosa a suo tempo, in questo momento l’emergenza sono scuola e lavoro, io mi occupo di dare risposte concrete laddove governiamo alle famiglie su questi temi. Poi le maglie uno le mette e le toglie a seconda delle stagioni”. E non manca la stoccata: “Se Toti ha vinto, è grazie alla coalizione e alla Lega, non grazie a Gesù Bambino”. In ogni caso, se fuori non sono tutte rose e fiori, non è che in casa Lega vada molto meglio. Al di là della seppur non dichiarata – ma impossibile da negare – rivalità col governatore più amato d’Italia, Luca Zaia, è evidente che la mossa di creare una “segreteria politica” che affianchi il capitano nella gestione del partito, sia nello stato delle cose un segnale.

Finiti i bei tempi dell’uomo solo al comando e di una gestione autoritaria o, per citare Bobo Maroni, “stalinista”. Anche se l’operazione è più una “foglia di fico” che altro: di questa segreteria, a parte l’immancabile ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti per occuparsi di esteri, dovrebbero far parte tutti i fedelissimi salviniani: gli ex ministri Centinaio all’agricoltura, Erika Stefani all’autonomia, Giulia Bongiorno alla Giustizia, l’ ex candidata in Emilia-Romagna Lucia Borgonzoni alla cultura, il senatore Alberto Bagnai all’economia. Gestione collegiale, dunque, ma non troppo.