Depistaggi sull’omicidio di Cucchi. Un testimone inguaia l’Arma. Il maggiore Grimaldi smentisce uno degli imputati. Segnalò i registri sbianchettati, ma nessuno fece nulla

Dopo undici anni dalla morte di Stefano Cucchi, il processo sui falsi e sui depistaggi continua a regalare sconcertanti novità. Dettagli, spesso piccoli, che non fanno altro che aumentare i dubbi su quanto accaduto nelle ore immediatamente successive all’arresto del giovane per droga e morto, a seguito di un pestaggio, dopo giorni di agonia all’ospedale Pertini. L’ultima novità è quella emersa nell’udienza dov’è stato sentito, in qualità di testimone, il maggiore Pantaleone Grimaldi che ha puntato il dito sulle responsabilità degli indagati messe in atto con quelli che sembrano esser stati grossolani tentativi di sviare eventuali indagini. “Quando vidi il rigo interamente sbianchettato sul registro dei fotosegnalamenti dissi al capitano Tiziano Testarmata che non si trattava di una mera irregolarità” ha spiegato il militare.

Sempre secondo quanto fatto mettere a verbale, aggiunse al suo superiore “che non bastava fare una fotocopia del documento ma che bisognasse sequestrare tutto e mandare in procura, anche per fare una perizia”. Del resto che dietro quella cancellatura ci potesse essere qualcosa di strano era ben chiaro a Grimaldi, all’epoca dei fatti comandante della Compagnia Casilino, che ha spiegato anche che “il rigo sbianchettato era del 16 ottobre e combaciava con il giorno dell’arresto di Stefano Cucchi: per me non c’era dubbio che sotto ci fosse scritto il suo nome”. Parole che, però, non hanno smosso Testarmata che “era perplesso, si allontanò per fare una telefonata e quando tornò disse di procedere come già deciso e cioè facendo una semplice fotocopia del registro”. Una decisione che non convinse affatto Grimaldi il quale afferma ai giudici: “Mi arrabbiai per questa decisione ma all’epoca avevo assoluta fiducia su Testarmata, che da subito si è comportato come titolare a svolgere l’acquisizione degli atti”.

L’ULTIMO ATTO. Quello in corso è l’ultimo filone della complicata vicenda giudiziaria legata alla morte di Cucchi. Si tratta dell’inchiesta per la quale sono gli otto imputati, tutti carabinieri, a cui i pubblici ministeri di Roma contestano, a seconda delle posizioni, il reato di falso, quello di favoreggiamento, l’omessa denuncia e la calunnia. Accuse per le quali sono finiti sul banco degli imputati il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma; il colonnello ed ex capo del nucleo operativo di Roma Lorenzo Sabatino; l’allora tenente colonnello del comando del Gruppo Roma, Francesco Cavallo; il già comandante della Compagnia Montesacro, Luciano Soligo; l’ex comandante della stazione di Tor Sapienza, Massimiliano Colombo Labriola; il carabinieri scelto in servizio a Tor Sapienza, Francesco Di Sano; il capitano Testarmata, già comandante della quarta sezione del nucleo investigativo e, in ultimo, il militare Luca De Cianni.

Loro, questa la tesi dei pm, sarebbero gli autori dei depistaggi che hanno reso complesso l’accertamento della verità. In particolare a Testarmata viene contestato il favoreggiamento in quanto, si legge nelle carte, recatosi “il 4 novembre del 2015 presso la compagnia Casilina per acquisire una serie di atti”, si è reso conto che “il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato alterato” e che “era stato cancellato con il bianchetto il passaggio di un soggetto dalla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009”. Peccato avrebbe “omesso di prelevare il registro in originale nonostante fosse stato ripetutamente ed esplicitamente stimolato in tal senso”.