Destre divise sulle armi a Kiev. Rientro amaro per Giorgia. Berlusconi è furioso perché la premier non l’ha difeso e la Lega frena sulla fornitura di caccia a Zelensky

Destre divise sulle armi a Kiev. Rientro amaro per Giorgia. Berlusconi è furioso e la Lega frena sulla fornitura di caccia a Zelensky

Destre divise sulle armi a Kiev. Rientro amaro per Giorgia. Berlusconi è furioso perché la premier non l’ha difeso e la Lega frena sulla fornitura di caccia a Zelensky

Se dopo il breve tour tra Europa e Ucraina, in cui ha ottenuto meno visibilità e prestigio di quanto sperasse, Giorgia Meloni sperava di tornare a Roma per rilassarsi allora sarà costretta a ricredersi. Del resto c’era da aspettarsi il muso lungo di Silvio Berlusconi, di fatto scaricato durante la conferenza stampa in cui Volodymy Zelensky lo ha fatto nero, mentre non era altrettanto scontato il fatto che dalla Lega arrivano i primi mugugni in vista delle forniture promesse da Giorgia all’Ucraina.

Insomma in appena tre giorni non solo la premier non sembra aver ottenuto granché dal suo tour, in parte perché messa in ombra dall’inattesa presenza di Joe Biden negli stessi giorni e negli stessi luoghi, ma al suo ritorno scopre che la salute della sua coalizione è notevolmente peggiorata.

I nodi al pettine delle destre

Certo non siamo in presenza di una spaccatura insanabile, ciò può valere solo per il Cavaliere e i suoi più stretti collaboratori, ma è indice del fatto che nel Centrodestra a molti non sta piacendo il protagonismo della leader. Uno dei nodi che crea maggiori attriti tra Fratelli d’Italia, partito che sostiene strenuamente la politica bellicista degli Stati Uniti e della Nato, Lega e Forza Italia è senza dubbio quello delle forniture di aiuti militari all’Ucraina. Ebbene la novità è che dal Carroccio chiedono di frenare su questa corsa ad armare Zelensky.

Il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo, ad Agorà su Rai Tre, ha detto che “è giusto sostenere l’Ucraina anche a livello militare tanto è vero che abbiamo votato tutti i provvedimenti. È sacrosanto difendere il diritto all’autodeterminazione di uno Stato sovrano. Però attenzione a non inviare armi che rischino di trascinare la Nato in un conflitto diretto con la Russia. Perché questo vorrebbe dire far scoppiare la guerra nucleare. Ci vuole prudenza. Usiamo la ragione e usiamo meno la propaganda bellicistica”.

Difficile non notare il tempismo di questa dichiarazione che arriva proprio mentre in Italia si ragiona sulla possibilità di fornire a Kiev anche aerei da guerra e, per giunta, a poche ore dalle dichiarazioni della Meloni che, nella conferenza con Zelensky, assicurava che sulle armi a Kiev “valgono i fatti e i partiti che fanno parte della maggioranza hanno votato qualsiasi cosa il Parlamento sia stato chiamato a votare a sostegno dell’Ucraina. Al di là di alcune dichiarazioni, nei fatti la maggioranza è sempre stata compatta”. Ma questo consenso non sembra così granitico. Per questo la promessa di altre armi fatta a Zelensky appare frettolosa perché bisogna convincere gli alleati delle destre e dopo il Parlamento che la Meloni ha sempre detto di voler rispettare.

I guai di Meloni

Ma c’è anche un secondo problema ossia il fatto che fornire tecnologie offensive – come aerei da combattimento e missili a lunga gittata – sembra cozzare con la Costituzione. Questo perché, secondo diversi esperti, con simili armi l’Italia, seppur indirettamente, sarebbe parte del conflitto, violando l’articolo 78 secondo cui lo stato di guerra deve essere deliberato dal Parlamento. Dubbi anche in merito alla possibile violazione dell’articolo 11 in base al quale l’Italia ripudia la guerra anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma non è tutto.

L’altra rogna per la Meloni è quella del suo rapporto con Berlusconi. Le parole con cui Zelensky ha spernacchiato il Cavaliere davanti alla Meloni, senza che quest’ultima difendesse l’alleato di governo, sono diventate un casus belli all’interno del Centrodestra. E infatti Berlusconi è stato a lungo tentato dal rispondere con un duro comunicato dagli esiti imprevedibili, ma alla fine i suoi fedelissimi lo hanno fatto desistere. Tuttavia c’è da scommettere che sul lungo periodo questo clima da guerra fredda nelle destre si riproporrà e chissà che a quel punto Silvio non prenderà la sua rivincita durante una votazione al Senato. Chi di sicuro non ha atteso tanto quanto le destre per la ritorsione post viaggio a Kiev è il collettivo di hacker russi che ieri ha attaccato i siti dei Carabinieri, dei ministeri degli Esteri e della Difesa, nonché di banche e aziende.
DMR