Chiariamoci subito, onde evitare equivoci. Qui, fortunatamente, non si parla di abusi o molestie. Ma di discriminazioni sì. Perché nonostante i proclami, e malgrado il fatto che quello eletto nel 2013 sia il Parlamento più “rosa” della storia della Repubblica (il 30 per cento di deputati e senatori sono di sesso femminile), nella cosa pubblica le donne continuano ancora oggi a vivere in condizione di subalternità rispetto ai colleghi maschi. A parlare sono i numeri, incontrovertibili, che dicono come, in particolare nei Comuni e nelle Regioni, la loro presenza è tradizionalmente sottodimensionata. Partiamo proprio dai Comuni.
La Notizia ha chiesto al ministero dell’Interno i dati aggiornati, tratti dall’anagrafe delle amministrazioni locali, relativi al fenomeno. Ebbene, ci è stato risposto che sul totale di sindaci attualmente in carica, pari a 7.839, sono di sesso femminile in numero di 1.099, pari, in misura percentuale, al 14,01 per cento. Poche, tutto sommato, rispetto ai colleghi maschi, il restante 85,99 per cento. Anche se in crescita rispetto ai dati resi noti dal Dipartimento per gli Affari interni e Territoriali del Viminale a marzo dell’anno scorso, tre mesi prima dell’incoronazione – fra le altre – delle cinquestelle Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino: 1.048, il 13,6 per cento. Nemmeno nelle Regioni, però, il “gentil sesso” se la passa poi tanto meglio. Elenco alla mano, delle 20 totali soltanto 2 (il 10 per cento) sono amministrate da governatrici. Si tratta di Catiuscia Marini (Umbria) e Debora Serracchiani (Friuli-Venezia Giulia), entrambe del Pd. Per il resto, dalla Lombardia (Roberto Maroni) alla Liguria (Giovanni Toti) fino alla Sicilia (Nello Musumeci) comandano gli uomini. Non solo. Nei giorni scorsi la Serracchiani ha infatti annunciato l’intenzione di non ricandidarsi alle elezioni del prossimo anno per il rinnovo della Giunta del FVG, speranzosa di tornare in Parlamento.
Il suo posto in lista, ma solo per mere ragioni di calcolo, potrebbe essere preso da Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) o Roberta Lombardi (M5S) nel Lazio. Se la prima storica capogruppo dei pentastellati alla Camera è già certa di correre contro Nicola Zingaretti (Pd), l’ex ministro per la Gioventù è uno dei tanti nomi tirati in ballo nel Centrodestra ancora alle prese col caos nella scelta del candidato unitario. Difficile, comunque, che alla fine decida di scendere in campo. Così il rischio è quello di abbassare ulteriormente la già misera percentuale.
Twitter: @GiorgioVelardi