Diventare renziano è l’ultima moda del riciclaggio

di Stefano Di Michele per Il Foglio

Il grande boom”, dice adesso Raffaella Carrà – che al titolo del suo ultimo album paragona Renzi. Non c’è nessuno che non si dica renziano – e Matteo, cantore inesauribile della “Grande bellezza”, tanto cinematografica da Oscar (sicuro) quanto sociale da pil (incerto), banditore di Gran talento, tra chi evoca il Cav. e chi cita Mastrota, è ormai titolato quale “Grande bello” d’Italia.
Il Rottamatore che fu si è mutato nell’Ecumenico: dalle nonne che sospirano guardandolo da Vespa alle finte bionde Fazio, alla sciure dalla Bignardi alla mamme i cui bambini lo accolgono in coro: “Facciamo un salto / battiam le mani…”. Nessuno che si neghi (che gli neghi) un apprezzamento, una speranza, una calda esortazione, nel passaggio epocale dall’era Findus di Letta al fumante lampredotto fiorentino (sempre per stomaci forti).

Perché poi c’è la Carrà – perciò: felicità-tà-tà – ma soprattutto ieri c’era Sergio Marchionne: “Di sicuro è stato veramente qualcosa di nuovo, di dirompente, di cui il paese ha bisogno. Ha il mio totale appoggio. Ieri sono stato estremamente orgoglioso” – che quasi non si capisce se parla del premier o della nuova Cinquecento, dell’Irpef o della tenuta su strada.
Che poi, eccolo qui uno dei miracoli di Matteo (“dono di Dio”, significa: e il diretto interessato pare aver fatto un certo affidamento sulla cosa): unire ciò che separato era, tenere gli opposti, affratellare gli animi, ago e filo dopo essere stato spada. E così, se Marchionne ne loda decisioni e carrozzeria, Maurizio Landini, che nella disputa con l’uomo di Detroit ha intasato i tribunali, pure a Renzi volge lo sguardo speranzoso. Ché Matteo con uno si schierò (“io sto dalla parte di Marchionne”), ma pure l’altro lodò (“da lui, anche se spesso siamo in disaccordo, ogni volta che parlo imparo qualcosa”).
Niente dalla Camusso invece apprendeva, ma adesso anche la riottosa Susanna (per niente tutta panna, nella disputa) pare apprezzare, e siccome la segretaria della Cgil poco si prendeva con Marchionne, e meno ancora si prende con Landini, ecco che il miracolo di un generale affratellamento pare realizzarsi. E Matteo meglio del sant’Eusebio di Nino Manfredi, “sei l’ombrello dell’anima mia”, figura. Allora nelle sue mani, quasi venerabili, il giusto il di più consegna. “Matteo, io voglio rinunciare al mio vitalizio ma non posso, pensaci tu” – un po’ santo, perciò, e un po’ Gigante alle prese con Jo Condor, nell’invocazione di Gerry Scotti. “Ci penso io”.
D’Alema si prepara a dotta discussione con lo stesso intorno al suo ultimo manufatto letterario – e ci furono giorni in cui non avrebbe discusso con lui nemmeno un foglietto di istruzioni dell’Ikea. Fassina, dal “chi?” renziano atterrato, ha ripreso il volo e le lodi ne canta.
Cuperlo, pubblicamente strapazzato, se lo mangiava con gli occhi mentre il bullo snocciolava promesse e decisamente favoriva il settore della cartellonistica nell’ultima conferenza stampa: “Ci sono molte cose di sinistra nelle cose annunciate da Renzi” – rischiando di far prendere spavento al Machiavelli d’oggidì. Ognuno loda, ognuno si segnala, persino chi deve attaccare ha una qualche forma di ammirato cedimento. “TurboRenzi”, ha sentenziato sul Fatto Marco Travaglio – ovviamente prima di sentenziare ben altro.

Un po’ come Bertinotti, che a critica premette: “E’ il Blair italiano…”, e figurarsi la contentezza del Tony del Lungarno. E incoraggia Diego Della Valle, “è una persona che non ci fa vergognare per come ci rappresenta in giro per il mondo”, e Flavio Briatore è tra il fervido auspicio e la sicura segnaletica stradale: “Renzi è l’unico che può svoltare”, segue marchionniana conferma.
Su Renzi c’è disputa tra i musicisti, così quando Jovanotti disse che lo avrebbe votato, “rottamarsi è importante”, Pelù lo accusò di essere “un ruffiano”, per poi sentitamente scusarsi. E dagli States, Gabriele Muccino fa sapere: “Sono sollevato dal fatto che Renzi sia al governo” – nell’attesa di avviare le riprese del nuovo film con Russell Crowe, Massimo Decimo Meridio si è almeno accasato a Palazzo Chigi. Gran fenomeno, Renzi. Deve quasi auspicare che la sorte gli conservi almeno la solida antipatia di Letta e Bersani. Sennò piace troppo: finirà col credersi Jorge Mario Matteo.