Dopo Conte lascia Zingaretti. L’ultima pugnalata del demolitore Renzi. Il governatore: vergognoso parlare solo di poltrone. Resa dei conti finale all’Assemblea del 13 marzo

Dopo Conte lascia Zingaretti. L’ultima pugnalata del demolitore Renzi. Il governatore: vergognoso parlare solo di poltrone. Resa dei conti finale all’Assemblea del 13 marzo

Alla fine tanto tuonò che piovve. “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo poltrone e primarie”, ha scritto ieri su Facebook Nicola Zingaretti, annunciando le dimissioni da segretario del Partito democratico. “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito – ha chiarito – non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili”.

Quello che non fecero i barbari fece Barbara D’Urso, inutile negarlo, l’ultima tragica gaffes del segretario con il suo messaggio di solidarietà per la chiusura di uno dei programmi della nota conduttrice Mediaset in tempi di disoccupazione e crisi economica lacerante, che ha scatenato gli elettori Pd sul web, non ha aiutato la già precarissima situazione del presidente della Regione Lazio, che con il suo “O Conte o morte”, con la decisione di far entrare nella sua Giunta il M5s (ma già prima, con l’appiattimento a livello nazionale su alcune posizioni dei grillini, che peraltro stanno drenando voti al Pd) – tutte strategie di ispirazione bettiniana – si è guadagnato l’ira di Base riformista, l’area che fa capo a Guerini, Lotti e al capogruppo dem al Senato Marcucci, ma anche degli orfiniani, per non parlare degli strali lanciati all’indirizzo del segretario dalle donne dem, escluse dai ruoli di governo nell’esecutivo Draghi.

In ogni caso, Zingaretti ha presentato le dimissioni da segretario del Pd ma non ha precisato se queste sono “irrevocabili”. Il Diavolo, si sa, si annida nei dettagli, e in questo caso non sono manco troppo impliciti: “L’Assemblea nazionale farà le scelte più opportune e utili”, ha infatti precisato nel suo messaggio. L’uscita di scena potrebbe essere “tattica”, cioè rappresentare un passaggio per andare alla conta e provare a farsi rieleggere proprio il 13-14 marzo evitando così un vero e proprio Congresso. Ma l’Assemblea stessa potrebbe però anche eleggere un reggente fino al Congresso, insomma la situazione è in divenire.

Intanto i fedelissimi del segretario fanno quadrato, Matteo Ricci, coordinatore dei sindaci Pd e presidente Ali (Autonomie Locali Italiane) dichiara: “Comprensibile e condivisibile lo sfogo di Zingaretti, ma Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell’Assemblea. Non si può delegittimare ogni volta il leader di turno”. Gli fa eco l’ex ministro Francesco Boccia: “Nel momento più drammatico della storia recente del Paese e nel momento più difficile della storia del Partito democratico, Nicola Zingaretti è stato un faro sia per il governo che per il Pd, penso che l’Assemblea nazionale abbia una sola strada: chiedergli di restare segretario del Pd’’.

Un appello a rimanere in sella arriva anche dal capogruppo a Montecitorio Graziano Delrio: “In un momento così grave e difficile per il Paese il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada”. Si dovrà aspettare formalmente l’Assemblea ma intanto in “soccorso” di Zingaretti arriva anche l’endorsement di peso del ministro della Cultura, uno dei pochi in grado di spostare davvero gli equilibri dalle parti del Nazareno: “Il gesto di Nicola Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”. Così scrive Franceschini su twitter. E non è poco, anzi è moltissimo.