Doppie spese per Cinecittà: lo Stato paga due Cda

di Clemente Pistilli

Lo Stato non riesce a far funzionare bene le proprie società e ormai non riesce neppure a chiuderle. Vengono varate leggi per risparmiare sulla spesa pubblica, ma tra un ritardo e un decreto mancato, anziché tagliare si raddoppia. Se prima a occupparsi di cinema era un’unica struttura, dopo il riordino disposto due anni fa sono diventate due, con tanto di doppie spese per i Consigli di amministrazione e i collegi sindacali. Un settore che potrebbe dare tanto, che ha visto italiani scrivere la storia della celluloide, ma che con una simile gestione è ai titoli di coda.

Solo buoni propositi
Nel 2009 venne costituita la spa Cinecittà Luce, fondendo lo storico Istituto Luce con Cinecittà holding, società impegnata nella produzione, promozione e distribuzione di opere cinematografiche, nel sostegno al settore e in particolare ai giovani registi e nella gestione degli studi di via Tuscolana, a Roma. Una spa con 75 milioni e mezzo di capitale sociale, totalmente partecipata dal Ministero dell’economia e finanze e posta sotto la vigilanza del Mibac, retto dal ministro Massimo Bray. Dopo due anni il modello è già stato ritenuto da rottamare. Nel 2011, con la crisi che iniziava a pesare sempre di più, il Governo ha deciso di tentare la strada della riduzione della spesa pubblica, tagliando i costi della politica e degli apparati. Nel novembre 2011, come previsto dall’apposita legge sulla stabilizzazione finanziaria, è stato così deciso di dar vita alla Istituto Luce-Cinecittà srl. Struttura molto più snella, con un capitale sociale ben distante da quello della spa: appena 15mila euro. E la Cinecittà Luce? Da mettere subito in liquidazione. Risorse umane e strumentali da trasferire alla nuova srl e azienda da affidare alla Fintecna spa, la società che si occupa di gestioni e dismissioni di partecipazioni socitarie, interamente partecipata dalla Cassa depositi e prestiti, presieduta da Maurizio Prato, con alle spalle una lunga carriera nell’Iri e in Alitalia, e con amministratore delegato Massimo Varazzani, definito mister mille poltrone. Il cinema italiano doveva così essere garantito e i risparmi assicurati, ma la storia è stata diversa.

L’azienda raddoppia
La Cinecittà Luce spa è rimasta in piedi. Non sono stati nominati i liquidatori e non è stata messa l’azienda nelle mani di Fintecna. Fino a luglio dello scorso anno è stato pagato sia il Cda della Cinecittà Luce che quello della Istituto Luce-Cinecittà srl, quest’ultimo presieduto da Rodrigo Cipriani Foresio, con un passato in Mediaset e Publitalia, e amministratore delegato Roberto Cicutto, già produttore e distributore cinematografico. La spa è stata poi messa nelle mani di un amministratore unico, il funzionario Nicola Borrelli, del Mibac. Una doppia struttura, con doppi costi, evidenziata dalla Corte dei Conti nella relazione inviata alle Camere sulla gestione finanziaria della società nel 2012.

Debiti e partecipazioni
La spa ha chiuso il 2012 con un risultato negativo di 50,5 milioni, 125 unità di personale, che costano oltre 7 milioni, e collaborazioni esterne per un milione di euro. E non vanno meglio le aziende partecipate dalla Cinecittà Luce. La Cinecittà Studios spa, che gestisce gli studi cinematografici, ha registrato nel 2012 perdite per 5,6 milioni e la Circuito Cinema srl, che gestisce cento schermi in Italia, perdite per 1,8 milioni. La spa e la srl sono finite a dividersi le attività e la Cinecittà Luce ha presentato un piano di costi per 4,5 milioni, ottenendo un contributo ministeriale di 1,8 milioni. Senza contare che la Cinecittà Studios ha a sua volta partecipazioni in un lungo elenco di altre società, dalla marocchina Cla Studios alla Cinedistrict, dalla Cinecittà digital factory alla Cinecittà allestimenti. E pensare che due anni fa erano stati assicurati risparmi e grandi chances per il cinema italiano. Quando la Corte dei Conti ha concluso la sua relazione ancora non risultavano iniziative neppure per la messa in liquidazione. Un caos. Se il grande schermo può rappresentare un’occasione per l’Italia difficilmente in una tale situazione si andrà lontano.